[img align=left]http://i48.tinypic.com/rvx020.jpg[/img]Difficile non riconoscere che il merito più grande della prima edizione di Pechino Express sia stato quello di (ri)portare i reality registrati in Italia: ci sono voluti più di dieci lunghissimi anni, ma finalmente abbiamo finito di pagare per la disastrosa esperienza di Survivor Italia. Il successo tanto di The Apprentice quanto di Pechino Express lascia spazio a ben pochi dubbi: un tipo di intrattenimento diverso, lontano da certe meccaniche da televoto e programmi del primo pomeriggio, è possibile e ben accetto anche in Italia. Proprio da questa investitura a [i]rivelazione dell’anno[/i] il programma di Rai Due ha tratto la sua ragion d’essere: gli ascolti buoni ma non eccezionali infatti non giustificherebbero certi toni entusiastici e la folle sovrapposizione con X Factor ne ha frenato persino il successo sul web. Eppure, nonostante la scarsa promozione, nonostante il fardello della conduzione del non propriamente amatissimo Emanuele Filiberto, nonostante un cast di secondo piano e sulla carta deboluccio, Pechino Express ce l’ha fatta.
Contrariamente a chi fin dalla vigilia era pronto a etichettarlo come flop (d’altronde è quella la fine che di solito fanno i format low cost con qualche primavera sulle spalle che la Rai sembra amare tanto), Pechino Express si è rivelato il miglior programma di questa stagione per il suo ritmo serrato, un pubblico talmente trasversale da intercettare il (fu) salotto della Bianchetti con quello, un po’ più [i]chips[/i], della Cabello e grazie soprattutto alla impeccabile confezione. Viva la meritocrazia, insomma. O quasi: in realtà anche per quelli di Magnolia c’è tanta strada davanti, dal momento che non sono riusciti a liberarsi né della durata monstre di oltre due ore, né del più inutile dei daytime, tantomeno del televoto finale francamente privo di senso. C’è stato addirittura un timido tentativo di intercettare il pubblico della domenica pomeriggio mandando gli eliminati della settimana a Quelli Che, come fossimo ancora in piena Era Ventura: un esperimento durato il tempo di veder farneticare i già dimenticati fratelli Alarico e Armando in tribuna, poi rimpiazzato dal già più godibile Sempione Express. Nel complesso è però impossibile muovere una vera e propria critica a Pechino Express: ha superato indenne la prova dello spoiler (mantenendo gran riserbo sulle fasi finali del gioco, come neanche i colleghi di Cielo sono riusciti a fare), ha trasformato la presenza di Emanuele Filiberto in qualcosa di più consistente di un acchiappa-lettrici di DiPiù, ha donato affetto a quei personaggi che fino ad oggi non erano mai riusciti ad entrare davvero nel cuore del pubblico. L’unico punto debole di Pechino Express rischia di essere la sua (praticamente certa) seconda edizione. Adesso che i riflettori si sono accesi e le aspettative sono alte, il rischio di un passo falso è aumentato esponenzialmente. Sopratutto nel cast: quello di quest’anno si è distinto per il suo equilibrio tra la giusta dose di leggerezza e di cattiveria, nel 2013 dovranno resistere alla tentazione di farne una copia carbone. Visto il successo, anziché appesantirlo con i classici orpelli da programma generalista, potrebbero tentare il vero salto: un cast di soli NIP per puntate da quaranta minuti. [b]Solo a quel punto Pechino Express potrà considerarsi, a ragione, il programma che ha salvato i reality show in Italia[/b].