L’entità della sproporzione è una problematica innegabile.
Essendo però le cause multifattoriali, non so quanto sia utile non affrontarle più ad una ad una rispetto al mettere tutte le casistiche nel medesimo calderone.

Nello specifico, apparirebbe evidentemente intrinseco l’aspetto citato da Tosca, che già illustrò credo Dolcenera, ovvero che il consumatore sia maggiormente femminile e compri i cd di tal cantante maschio e vada ai suoi concerti anche “come se sognasse possa diventare un giorno il proprio fidanzato” – mentre apparentemente molti maschi penseranno ‘bona Rihanna/Emma Muscat’ ma poi sia più raro arrivino a comprare il cd o i biglietti per i concerti oppure a tappezzarsi la cameretta di poster del corrispettivo femminile di 1D/TakeThat/DuranDuran, ma più che altro si potranno giusto vedere il videoclip un paio di volte in più,

Non me lo sarei aspettato così preponderante per la musica, ma che ci vuoi/puoi fare?
Sarebbe quasi come pretendere la parità in molti sport.
Mentre, ad esempio, le modelle e simili guadagnano di più della controparte maschile,

Lo stesso per altri aspetti, magari ancora più controversi, ma pur sempre abbastanza “fisiologici”.
A mio avviso l’analisi andrebbe “sgrezzata” da tali elementi.
Altrimenti diviene come la propaganda USA sul wage gap sostenente che le donne guadagnino 78 centesimi per ogni dollaro che prenda un uomo.
Affermazione ‘disingenuous’ in quanto si guardano bene dal ricordare non sia parità dello stesso lavoro svolto.
Se in vero fosse 90% a parità di lavoro ecc., bene: che si attacchi il fatto che quel 10% sia del tutto ingiustificato.

Così, nel caso delle cantanti ecc. evidentemente bisogna capire perché sia 90-10/95-5 invece di, chessò, 66-33/60-40, ma non ripulire la questione dalle ragioni ineluttabili per cui difficilmente potrebbe mai essere 50-50 lo trovo dispersivo se non addirittura controproducente.
Quelle per il momento le metterei da parte.