Mahmood è nato e cresciuto a Gratosoglio, Milano sud. Orgoglio geolocalizzato. «C’è un mix di origini e culture diverse che si amalgamano e trovano un senso di unità molto forte». «Zingari come diamanti e gang latine», ecco il mix che filtra nel testo. «Mi ci rivedo (ha mamma italiana e papà egiziano ndr) e così ho preso una parola spagnola che sento vicina, cito la dea egizia Iside, la melodia che sale e scende spinge la mia voce verso il melisma di un muezzin, ma uso la lingua italiana». Il mix non piace a tutti. Trump vuole cancellare lo ius soli che offre la cittadinanza a chiunque nasca sul territorio americano.

«L’ennesima oscenità del presidente». I quartieri «alti» li ha conosciuti lavorando nel bar di famiglia, zona San Babila: «Il centro mi è sempre sembrato un luogo di tutti e di nessuno allo stesso tempo, senza nulla di personale. Dopo il festival ho lasciato la casa di mamma, e il campetto di basket sotto, ma vivo ancora in zona sud». È un momento speciale per le periferie? «Siamo sempre stati considerati una seconda scelta, mentre le istituzioni dovrebbero capire tanti ragazzi che arrivano da realtà simili stanno diventando un punto di riferimento. Vedi nella musica il mio esempio, a Roma, quello di Franco 126 e Coez. Servono più investimenti da parte delle istituzioni».

Ora lo aspetta un tour europeo (8 città, doppia data a Londra), la versione spagnola di Barrio con ospiti internazionali, e un disco: «In questi mesi ho scritto tanto in aereo e in van. Una volta lo facevo sull’autobus. Sono cambiati i mezzi, ma sono sempre in movimento. Uso il telefono per appuntarmi melodie e testi. Non è collegato a un cloud: se lo perdo, addio disco…».

Corriere