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MuseoRh monechiapi è il VINCITORE
NotturnoManto
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281
8 aprile, 2020 - 16:57
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Per quanto riguarda il gruppo Terra, sono stato attratto soprattutto da Millais, che, in una atmosfera abbastanza 'realistica', riesce a inserire del mistero (lo sguardo vigile della suora mentre la collega è impegnata a scavare una tomba - is this la versione ottocentesca di Pretty Little Liars?) e Rive. Il quadro di Magritte lo conosco già, è spesso antologizzato nelle trattazioni sull'artista in quanto ben esplicativo del concetto di Surrealismo nell'arte, ma non mi ha mai coinvolto più di tanto. Alla fine voto la foto di Rive, che mi trasporta in una dimensione magica e fiabesca.

monechiapi
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8 aprile, 2020 - 17:28
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Sala Aria Sole Terra e Mare by Linda

Fuoco: Banksy - Senza pensarci troppo è stato quello che mi ha colpito di più a un primo sguardo. Non ho dovuto andare a scavare più a fondo nell'opera come ad esempio con Prager e Yerka, che ho anche apprezzato. 

Aria: Rive - Scatto meraviglioso. Quello che più mi ha dato il senso di attinenza al tema, in quanto sembra che la terra sia sospesa nel cielo, come delle isole in un mare di nebbia. Ho apprezzato anche Munch.

Acqua: Magritte - Qua ho avuto dubbi fino all'ultimo con Yerka, che mi ha incantato con questa biblioteca "acquatica". Tuttavia, alla fine ho voluto premiare Magritte, che è stato quello che ha subito catturato la mia attenzione e che avrei votato senza pensarci troppo.

Terra: Millais - Qua anche sono stato indeciso con Rive, che però alla fine ho scartato perché in questa sua opera vedo più protagonista il cielo, mentre per Millais ho trovato la terra come vera essenza del dipinto. 

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Emm
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8 aprile, 2020 - 17:39
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Acqua: pazzesco, magnifico tutto. Vado su Magritte perché sono sedotto dalla sinossi.

 

Terra: qui bado meno all'artisticita ma voto quasi "a scatola chiusa" Prager perché mi ha riportato a un ricordo personale, un tuffo al cuore.

Casadelvino
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8 aprile, 2020 - 18:22
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Voto Yerka in acqua perchè quell'opera è meravigliose e mi ha colpito subito, e Millais per la terra perchè è quello che ho trovato più in tema.

amers

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8 aprile, 2020 - 18:47
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Prima di tutto complimenti a nace per le scelte. Alcune davvero bellissime. Io voto appena termino di lavorare, stasera o domani mattinalol

Waves of Music
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286
8 aprile, 2020 - 20:31
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Fuoco: Yerka-Bansky-Prager-Blake

Aria: Rive-Millais-Munch-Bansky

Acqua: Yerka-Magritte-Blake-Munch (mio girone preferito, bellissime tutte)

Terra: Rive-Millais-Magritte-Prager

amers

Moderatore - Mentore

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287
9 aprile, 2020 - 8:10
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Fuoco: tutte molto belle e intense. Ma soprattutto due mi hanno rapito (Yerka e Prager). Voto Prager perché mi ha fatto venire voglia di rivederla più e più volte.

Aria: belle anche queste ma ho avuto più facilità, quello di Millais è sublime. Voto Millais

Acqua: come in fuoco anche qua sono stata colpita soprattutto da due, Magritte e Munch. Alla fine quest'ultimo mi colpisce leggermente di più. Voto Munch

Terra: qui non posso non votare una delle mie opere preferite. Voto Magritte.

mrnace
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9 aprile, 2020 - 9:18
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Pronti per l'ultima Sala? Dopo aver indagato a fondo fra i colori, assaporato suoni e profumi, stupito, citato autori celebri o creato produzioni personali molto interessanti l'ultima Sala sarà semplicissima. Volete vederla? E' un piccolo spazio nel quale incontrarsi, bere qualcosa, conoscersi e ovviamente ammirare le vostre opere appese alle pareti.

ultima-sala

Eccola.. La sala Intima

C'è un'opera che descrive un vostro stato d'animo, che comunica quello che provate, talmente empatica da sentirvi all'interno, fra i protagonisti?
Avete mai detto "Avrei tanto voluto scattarla io quella foto! Essere io l'artista a dipingere quel volto, a spruzzare quella vernice, a girare quel cortometraggio.."
Siete stati rapiti guardando l'opera dal vivo?
O solo banalmente vi piace troppo, ricorda un momento bello trascorso e ormai è quella l'opera Vostra dell'artista..

La scelta dell'opera necessita meno di dieci secondi. A fine della lettura della consegna, vi voglio chini sul tavolo, pronti a scrivere l'ultima didascalia.
Al centro della didascalia ci siete voi amers, alby, casadelvino, emm, notturnomanto, monechiapi, mrnothing, wavesofmusic. Parlate di voi attraverso l'opera e l'artista. Spiegate nel dettaglio l'opera certo, fornite informazioni ma non dimenticate la cosa più importante. Prendete uno specchio, veloci...

Guardatevi.. Ecco il 50% della didascalia. L'altro 50% sul tablet, libro, telefono, magari appeso nella camera da letto. Dove verranno messe tutte le didascalie finali? Saranno incise su un nastro e inserite in personalissime audioguide.

audio

Siete indecisi fra due alternative? Facilissimo: la seconda opzione usatela per il post di saluto del Gran Salone.
Ricapitolando il materiale da consegnare:
1. opera
2. didascalia
Termine ultimo per consegnare il materiale Venerdì 10 ore 11.00.

mrnace
Utente PLATINO

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9 aprile, 2020 - 9:24
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Buon lavoro! @Waves of Music @Emm @Casadelvino @mrnothing @amers @monechiapi @Alby @NotturnoManto 

KassaD1
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9 aprile, 2020 - 10:31
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Che belloheartVoglio commuovermiiiii

NotturnoManto
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9 aprile, 2020 - 11:58
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Bellissima sala *-*

Io stavo sfogliando il mio volumetto di Artedossier dedicato a Klimt (non so se conoscete questo periodico, è appunto una rivista mensile che si occupa d'arte che offre anche degli agili volumetti monografici, scritti da critici o storici dell'arte, dedicati a vari autori o varie correnti, io ne ho comprati diversi alla Feltrinelli a prezzi economici, sono bellissimi) e ogni volta resto incantato davanti a opere come queste:

Gustav Klimt Painting - Early Works / Tragödie 1897 / Klimt ...

Tragedia, 1897

La Musica I (opera di Klimt)

La Musica I, 1895

Per non parlare dei controversi pannelli destinati all'Aula Magna dell'università di Vienna, andati distrutti durante la seconda guerra mondiale 🙁

mrnace
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9 aprile, 2020 - 12:36
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Bellissimi!! Anche i soffitti grandiosi all'interno del Kunst di Vienna mentre si sale lo scalone:

klim

Ovviamente le scale del nostro MuseoRh sono più belletoofunny3

mrnace
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9 aprile, 2020 - 17:20
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Il mezzo di trasporto dell'ultimo bellissimo viaggio? Siete diversi, otto versioni diverse.

NotturnoManto
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9 aprile, 2020 - 17:22
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Io prendo la penultima! 💙

Alby
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9 aprile, 2020 - 17:33
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Per me la terza 

mrnothing
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9 aprile, 2020 - 17:46
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Io scelgo decisamente la quinta!

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Emm
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9 aprile, 2020 - 18:13
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La seconda, ha un tocco vintage molto stiloso.

Casadelvino
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10 aprile, 2020 - 11:04
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io scelgo la quarta **

amers

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10 aprile, 2020 - 11:45
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L'ultima dai

mrnace
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10 aprile, 2020 - 12:15
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Pronti a pedalare tutti insieme?
Le migliori didascalie possibili: coinvolgenti, intense, introspettive. Opere emozionanti. Superlativi, tutti! Per me la Sala più bella.

 

Alex Prager, La grande sortie, 2015

Era la seconda volta che incontravo Giuseppe. Quella domenica mattina camminavamo per strada in silenzio, come poi avremmo fatto tante altre volte, senza avere un’idea precisa su dove andare e su come trascorrere la giornata. “Ora che ci penso, c’è una mostra molto bella, che ho già visto. È di un’artista che si chiama Alex Prager”. “Alex chi?”.

Non mi conosceva ancora bene, ma osservando quelle opere mi è sembrato di sì. Come diamine ha fatto ad intuire i miei gusti?

Siamo tornati altre volte a vedere quella mostra. Ci sono tornato da solo. Ci siamo ritornati insieme anche senza andarci, con i nostri discorsi e con i nostri pensieri. Quel posto è diventato il nostro posto, il nostro rifugio.

Le opere di Alex Prager mi hanno tenuto spesso la mente occupata. Non ci sono soltanto la tecnica e l’estetica, ma c’è un pensiero. C’è un modo di guardare la vita. Alex mette in scena una finzione, costruisce posti che non esistono dove far muovere attori tutt’altro che spontanei. Talvolta le sue opere contraddicono persino le leggi della fisica. “Iperrealismo” lo chiama giustamente lei, perché in quella finzione c’è più realtà di quanta ne riusciamo a vedere. C’è la realtà della nostra anima.

La Grande Sortie è l’opera che più mi ha lasciato a bocca aperta, che più ha solleticato i miei pensieri. Ho visto la mia vita, ma anche il modo in cui intendo la vita e come vorrei raccontarla se un giorno l’artista fossi io.

Non siamo che insignificanti granelli di sabbia sull’immensa spiaggia dell’universo. Ognuno di noi si affanna e si tormenta pensando di essere il granello più importante. Siamo i protagonisti del nostro film. Attorno a noi ruotano i personaggi secondari, poi ci sono i personaggi ricorrenti e le comparse, quei granelli di sabbia che incrociamo distrattamente soltanto nelle rapide folate di vento. Sono il ragazzo al bancone del bar, la donna che ci siede accanto al cinema, il vecchio che sbadiglia in tram. Tutti volti tra la folla, quella folla indefinita che a volte ci fa così paura. Ognuno di loro, però, è un personaggio a tutto tondo. È un mondo che cammina, è un film che cammina, la cui storia vale la pena di essere conosciuta e raccontata.

Prima di cominciare a girare o a scattare le sue fotografie, Alex Prager incontra una per una le sue comparse. Chiacchiera con loro, lascia che le raccontino la propria vita, di cui è affamata. Ed ognuno di loro non aspetta altro che poterla saziare.

Da qui la mia visione de La Grande Sortie, che considero la summa dell’opera di Alex Prager. Ci troverete la coralità di Crowd #7, il malessere di Envy #1, la lotta tra il cuore e la mente di Uncanny Valley e la disperazione di Despair, così come quella metafora del suicidio che non simboleggia altro che il coraggio di rinascere.

La nostra vita è un palcoscenico su cui ognuno di noi cerca di portare avanti lo spettacolo che egli stesso ha ideato e progettato da tempo. Ti presenti lì sicuro di te stesso. Trucco e costumi sono impeccabili. Ogni minimo dettaglio è curato. Le luci sono perfette, così come hai sapientemente studiato cosa lasciare nell’ombra. Non devi far altro che aspettare che si alzi il sipario e cominciare a splendere.

Ma lo sappiamo bene, nulla va secondo i nostri piani. Gli spettacoli, come la vita, sono pieni di imprevisti. Ogni passo è un’occasione per inciampare, proprio lì, sotto ai riflettori, davanti agli occhi del pubblico che ha investito su di te, che ti guarda e che ti giudica, a cui non sfuggono i tuoi errori. Qualcuno sotto sotto se la ride, qualcuno in silenzio tifa per te. Qualcuno sussurra che non ce la farai, qualcuno pensa di poter fare di meglio. Forse tutti pensano di poter fare di meglio.

Sei solo su quel palcoscenico e cominci a sentirti in soggezione. Stravolto, smarrito, inadeguato. Tutta la tua scaletta è saltata e non sai più cosa devi fare.

I tuoi movimenti diventano goffi e lasci che siano gli altri a condizionare il tuo spettacolo, ad invadere la tua luce e a trascinarti da una parte all’altra del palco. Ti ritrovi sospeso sulle punte, in bilico. Fa un male cane e non sai se riuscirai a reggerti o finirai per cadere. Vederti cadere, in fondo, è ciò che il pubblico spera.

Del nostro personale spettacolo, però, non siamo soltanto i protagonisti. In mezzo a quel pubblico ci siamo anche noi. Anche noi possiamo giudicarci e dissociarci dalla nostra performance, arrabbiarci per il fiasco clamoroso che stiamo mettendo in scena. Non era lo spettacolo a cui avevamo lavorato.

A volte non vorremo far altro che scappare dietro le quinte o lasciare il teatro.

In quel teatro, però, siamo anche gli unici che possono salvare lo spettacolo. Anche se dovessimo cadere da quelle punte, potremo sempre rialzarci e recuperare. È dopo calato il sipario che si contano gli applausi.

Gli imprevisti e gli errori ci saranno sempre. Il modo in cui li affrontiamo, beh, quello si chiama arte. Si chiama vita.

 

René Magritte, The heartstrings, 1960

Il Blu è il mio colore preferito, adoro trovare pareidolie nelle nuvole, mi piace bere in compagnia delle persone a cui voglio bene. Questo dipinto mi suggerisce tranquillità, leggerezza, ma anche mistero. Mi richiama aperitivi estivi, lunghi viaggi in autostrada, camminate in montagna.

Come interpretare quella nuvola dentro al bicchiere? Come la leggerezza che si cerca nell'alcol, o una simbologia della vita che si libera nell'aria, a metà tra il rassicurante cristallo del bicchiere e l'infinito del cielo? Ancora una volta Magritte mescola realistico e fantasy, accende i colori e li sfuma, turba e rilassa. Lo devo ringraziare per avermi fatto compagnia con i suoi dipinti, per me estasianti, in queste settimane di Museo.

'Uno sguardo nel cielo', è una delle traduzioni suggerite per il titolo di quest'opera. Il cielo è infinito, è mistero, è sensibilità personale. Un'estate una persona speciale per me stava partendo per un lungo viaggio, in aereo. Io mi trovavo dall'altra parte d'Italia, ma mi sdraiai sulla sabbia della spiaggia, a notte fonda. L'unica luce presente, incredibilmente forte, in quella notte di luglio, era quella della luna e delle stelle, quella 'pale moonlight' che Lana Del Rey descrive benissimo in molte sue canzoni. Passò un aereo, lo riconobbi da quelle lucine ad intermittenza, rosse o bianche di solito, che brillano nei cieli notturni. E per qualche istante, fu come se quello fosse stato l'aereo della persona che stava partendo, in quelle stesse ore. Questa è l'immensità del cielo, il suo mistero. L'aereo non era quello, ma per me e per quella persona poteva esserlo. Stesso cielo, stesse stelle e stessa luna. Non stesso sentimento, quello no.

du

 

Banksy, Girl with Balloon, 2002

Banksy non è forse l’artista che più può colpire, se si è alla ricerca di emozioni personali e intime. I suoi soggetti sono sì forti, ma hanno il potere di coinvolgere la collettività, piuttosto che l’individuo singolo. Società, politica, istituzioni, attualità sono i concetti solitamente posti al centro dell’attenzione, dando così allo spettatore la scusa per unirsi a una scuola di pensiero, o a criticarla, e la possibilità di scappare dal confronto con se stessi. A livello personale poi, quando si deve fare un viaggio intimo, o intimidatorio piuttosto, posso tranquillamente affermare che il quadrato bianco su fondo bianco di Malevic è più espressivo del sottoscritto che si racconta. Ma tant’è, così nel gioco come nella routine della realtà attuale, siamo chiamati a raccontarci e a confrontarci con noi stessi.

 

C’è un soggetto di Banksy, che insieme a scimmie, regine e poliziotti è diventata un’opera simbolo, vedendosi costretta a passare attraverso tutte le fasi del marketing più spietato, spesso capaci di snaturare un’opera d’arte: tazze, magliette, posters e così via, arrivando fino al gesto estremo, l’autodistruzione, voluta da Banksy stesso all’asta di Sotheby’s a Londra; la ragazza con il palloncino, murale apparso per la prima volta nel 2002, ha avuto, nella sua leggerezza e fragilità (e banalità, ammettiamolo), la capacità di smuovere montagne. E un po’ anche me. Una bambina, un palloncino a forma di cuore e la scritta “There is always hope” sono stati sufficienti per colpire un po’ più nel profondo di quanto a volte si vorrebbe. E forse per motivi che poco hanno a che vedere con l’essenza stessa dell’immagine.

La prima volta che la vidi (in verità anni dopo la sua effettiva realizzazione), lì per lì mi sembrò un’immagine un poco diabetica e facile. Poi, per fortuna, la guardai una seconda volta. E capii che, di nuovo, avevo fatto un errore che fin troppe volte avevo commesso e che mi era costato parecchio: giudicare la superficie, di fretta; far emergere da subito gli aspetti negativi che mi davano la possibilità di brontolare, invece di fermarmi e cogliere non tanto la bellezza o il significato profondo della vita, quanto la possibilità di avere un’opinione sbagliata, l’eventualità che in fondo non ho continuamente ragione. Persone, azioni, cose... il difetto è sempre stato quello di giudicare senza conoscere, senza mai cambiare idea, senza dare una possibilità. Quel graffito un po’ scontato, quell’atto illegale sbattuto sotto gli occhi di tutti, era stato un ennesimo promemoria di questo mio problema. Non riuscire a cambiare prospettiva. Ma allo stesso tempo fui felice, e anche un po’ orgoglioso, perché capii di essere stato capace di rimediare, di rimettermi in discussione. Capii che in fondo stavo crescendo.

 

Come fu possibile questo strano viaggio quando vidi quest’opera? Mi feci una semplice domanda guardando il murale, una specie di riflessione pseudo-filosofica alla “bicchiere mezzo pieno, bicchiere mezzo vuoto”, cercando di rimettere tutto, appunto, nella giusta prospettiva. E dicendomi che forse c’era di più. La bambina, di fianco a quella frase scontata “c’è sempre speranza”, il cuore lo aveva lasciato andare o stava cercando di afferrarlo?

tre

 

Jacek Yerka, Fever, 1982

Non è stato difficile scegliere l’opera per questa sala. Appena ho letto il tema mi è subito balenato in mente questo quadro di Yerka, particolarmente capace di parlarmi in modo profondo. Tutte le sue opere, in realtà, riescono in questo intento, spesso dandomi una sensazione di calma e serenità in mezzo alla complessità, che è in fondo una metafora di ciò a cui aspiriamo tutti. Nei lavori di Yerka è sempre ravvisabile un filo di nostalgia per un mondo incorrotto, in cui l’uomo e la natura vivono in armonia, un mondo come quello della favole in cui non vigono le leggi fin troppo razionali del nostro mondo. Sono sensazioni che caratterizzano profondamente il mio essere e che sento mie, ma che vi ho già in qualche modo presentato e che, in realtà, trovo abbastanza universali, in quanto sentimenti che dovrebbero parlare a ciascuno. C’è invece un’opera di Yerka che suscita in me emozioni profonde e fa riemergere ricordi e momenti di vita passati, discostandosi da quella sensazione di pace di cui parlavo prima. Dopo un po' di riflessione su quanto dovessi espormi, ho deciso di presentarvela!

"Non fare una tempesta in un bicchiere d'acqua". Ecco, qua forse sarebbe meglio dire "Non fare una tempesta in una stanza". Quest’opera mi parla in particolar modo perché sento di poter essere, o meglio essere stato, il protagonista del quadro: quell’uomo sdraiato, nascosto sotto le coperte, inerme nel letto, mentre un temporale fatto di nuvole cupe e tenebrose si avvicina. Ciò che mi colpisce e che mi confonde è che non si capisce se il temporale divori l’uomo, come se lo prosciugasse delle sue energie, o se, viceversa, è l’uomo a generare il temporale, come se fosse il suo essere più profondo che dà vita a quei nuvoloni portatori di cattivo tempo. Forse entrambe le cose. Ecco! Io mi sono sentito così in un periodo della mia vita, ma penso che molti altri possano immedesimarsi nell’opera. C’è stata una fase della mia esperienza in cui era come se dentro di me ci fosse un temporale, che mi divorava, nutriva i miei pensieri, sempre negativi e offuscati, ma allo stesso tempo ero io a creare intorno a me quell’atmosfera, a circondarmi di negatività e privarmi di tutte le cose belle che mi circondavano, negando loro un sorriso. Non vedevo più i colori, ma solo le tonalità di grigio del cielo offuscato. Mi ero davvero circondato di nuvoloni carichi di pioggia e a posteriori sento di aver condizionato anche la “meteorologia” di chi mi stava vicino, costringendoli a vivere a loro volta sotto quelle nubi.

Quel brutto tempo che viveva dentro di me e che ha condizionato un momento importante del mio percorso è ora sparito, ora gran parte delle mie giornate sono fatte di sole e cielo azzurro, anche se fuori piove. Certo, i momenti come quelli del quadro non mancano, ma riesco ad affrontarli non dal letto, sotto le coperte, terrorizzato, ma con più fermezza. Sicuramente è anche quel “brutto tempo” ad aver permesso che oggi quando si presentino gli uragani sia in grado di affrontarli con le dovute precauzioni.
Oggi guardo a questo quadro con grande trasporto, perché sento che son stato capace di alzarmi dal letto e affrontare quella “sensazione nuvolosa” che avevo creato intorno a me, ma sento che comunque quel brutto tempo mi abbia temprato, perché d’altronde, come il temporale porta tempesta, ma nutre le piante e prima o poi finisce, portando il sereno, così anche i brutti tempi prima o poi vedranno uno spiraglio di sole in grado di rigenerarci.

Ecco, trovo curioso che espressioni come “sereno” e “brutto tempo” possano essere associate alle condizioni atmosferiche, ma anche al nostro animo. In fondo, ecco che ritorniamo al preambolo del discorso, non siamo poi così dissimili dalla natura e dai suoi “umori”.

quattro

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