Utente
9 settembre, 2013
Per i prossimi venti giorni e fino al climax dell’Election Day previsto per martedì 8 novembre p.v., avremo a farci compagnia quello che senza dubbio (poor Brexit, poor referendum sulla riforma costituzionale) è l’evento politico del 2016: la 58esima elezione presidenziale degli Stati Uniti d’America.
I votanti non sceglieranno direttamente il candidato (anche se in pratica sì), ma i 538 elettori presidenziali che andranno ad eleggere nel Collegio Elettorale il 45° presidente e il 48° vice presidente degli Stati Uniti. In un anno dove il presidente incombente Barack Obama non può correre nuovamente per un terzo mandato - come prevede il 22° emendamento della costituzione americana, promulgato nel 1947 subito dopo i quattro mandati della presidenza di Franklin Delano Roosevelt – tutti i candidati in lizza sono stati selezionati attraverso un meccanismo di nomination all’interno dei loro partiti svoltosi tra febbraio e giugno scorso.
L’importanza di queste elezioni assume una valenza ancora maggiore se si pensa che, come consuetudine, verranno eletti anche i membri della camera dei rappresentanti (House of Representatives) per ognuno dei 50 stati, nonché i membri del senato in 34 stati e i governatori di 12 stati.
IL MECCANISMO
Vengono eletti Presidente e Vice Presidente degli Stati Uniti i candidati che ottengono la maggioranza assoluta dei voti elettorali, pari a 270 su un totale di 538. I 538 elettori sono allocati proporzionalmente per ognuno dei 50 stati più il Distretto di Columbia (Washington D.C.), e si compongono come 435 membri della camera dei rappresentanti + 100 senatori + 3 elettori del Distretto di Columbia. Si aggiudica gli elettori di un certo stato il candidato che ottiene la maggioranza dei voti in quello stesso stato, tranne che per il Maine e per il Nebraska che attribuiscono due elettori al candidato vincitore assoluto nello stato, e un elettore al vincitore in ogni distretto.
La distribuzione dei 538 elettori è stata rivista per questa elezione a partire dai numeri del censimento del 2010 e si compone così:
-55 elettori per la California;
-38 Texas;
-29 Florida, Stato di New York;
-20 Illinois, Pennsylvania;
-18 Ohio;
-16 Georgia, Michigan;
-15 North Carolina;
-14 New Jersey;
-13 Virginia;
-12 Washington;
-11 Arizona, Indiana, Massachusetts, Tennessee;
-10 Maryland, Minnesota, Missouri, Wisconsin;
-9 Alabama, Colorado, South Carolina;
-8 Kentucky, Louisiana;
-7 Connecticut, Oklahoma, Oregon;
-6 Arkansas, Iowa, Kansas, Mississippi, Nevada, Utah;
-5 Nebraska, New Mexico, West Virginia;
-4 Hawaii, Idaho, Maine, New Hampshire, Rhode Island;
-3 Alaska, Delaware, Distretto di Columbia (Washington D.C.), Montana, North Dakota, South Dakota, Vermont, Wyoming.
Se nessun candidato raggiunge i 270 voti per la carica di presidente, questo viene scelto a maggioranza dalla camera dei rappresentanti; se nessun candidato raggiunge i 270 voti per la carica di vice presidente, questo viene scelto a maggioranza dai membri del senato.
Ovviamente va da sé che per vincere non basta prendere più voti dei candidati rivali, anzi è teoreticamente possibile che il candidato che ha raccolto più preferenze in tutti gli Stati Uniti non diventi presidente. Nella storia è successo quattro volte, l’ultima nel 2000 quando Al Gore prese circa 500mila voti in più di George W. Bush, ma perse dopo un mese di contestazioni e riconteggi per uno scarto di soli 537 voti in Florida che assegnarono la maggioranza nel Collegio Elettorale al candidato repubblicano. Lo stesso accadde nel 1824, 1876 e 1888.
I CANDIDATI
Gli Stati Uniti sono una nazione a sistema spiccatamente bipartitico, con due partiti ormai storicissimi e che si avvicendano al governo ininterrottamente da quasi 150 anni: il Democratic Party (DNC) e il Republican Party (GOP, dall’abbreviazione di Grand Old Party). Questo non frena numerosi altri candidati dal presentarsi a loro volta ai nastri di partenza, anche se l’ultimo a superare la fatidica soglia dell’1% è stato Ralph Nader del Green Party, che arrivò a 2,7% nelle elezioni 2000 (contribuendo in misura decisiva alla sconfitta di Gore di cui sopra). Quest’anno la situazione è resa ancora più interessante dal fatto che i due candidati favoriti non riscuotono il favore di buona parte della popolazione, prestando il fianco alle incursioni dei partiti minori – di cui almeno due hanno costantemente figurato nei sondaggi sopra il 3%. Non tutti i candidati si presentano in tutti gli stati e soltanto 7 dei 31 attualmente nominati da Wikipedia avranno accesso al numero minimo di voti elettorali necessari per vincere teoreticamente l’elezione (i 270 di cui sopra). Questi sono:
Hillary Diane Clinton nata Rodham, 68enne originaria di Chicago, Illinois, in rappresentanza del Democratic Party. Clinton è stata first lady degli Stati Uniti dal 1993 al 2001 durante la presidenza del marito Bill, per poi buttarsi nella carriera politica prima come senatrice dello stato di New York dal 2001 al 2009, poi come Segretario di Stato dal 2009 al 2013 sotto l’amministrazione Obama. Nelle primarie del DNC ha avuto un solo avversario, il senatore del Vermont Bernie Sanders, che ha messo la Clinton a dura prova fino all’ultimo pur non riuscendo mai a recuperare lo svantaggio accumulato nei mesi di febbraio e marzo. Clinton concorrerà alle elezioni 2016 assieme al candidato vice presidente Timothy Michael “Tim” Kaine, 58 anni, di Richmond, Virginia, già governatore della Virginia fra il 2006 e il 2010.
Donald John Trump, 70 anni, residente a Manhattan, in rappresentanza del Republican Party. Trump è un uomo d’affari e produttore televisivo alla prima esperienza politica che ha saputo sconfiggere nelle primarie repubblicane la concorrenza di ben sedici candidati, fra cui i grandi nomi dell’establishment GOP come il texano Ted Cruz, il senatore della Florida Marco Rubio e l’attuale governatore dell’Ohio John Kasich – gli ultimi ad arrendersi al sorprendente impatto di Trump e alla sua campagna dai toni segnatamente populisti ma di alto successo fra gli elettori repubblicani. Come candidato vice presidente Trump ha scelto un politico vero e proprio nella figura di Michael Richard “Mike” Pence, 57 anni, attuale governatore dello stato dell’Indiana.
Gary Earl Johnson, 63 anni, già governatore del New Mexico fra il 1995 e il 2003 per il partito repubblicano, è il candidato proposto dal Libertarian Party, alla sua seconda campagna presidenziale dopo lo 0,99% raccolto nel 2012, quest’anno sembra indirizzato a fare molto meglio grazie al malcontento di gran parte degli elettori verso le proposte di Trump e Clinton. Johnson avrà accesso potenziale a tutti e 538 i voti elettorali e sarà affiancato dal vice William Floyd Weld, già governatore del Massachusetts fra il 1991 e il 1997.
Jill Ellen Stein, 66 anni, è una fisica di Lexington, Massachusetts candidata dal Green Party, il partito dei cosiddetti “verdi”, dalle chiare posizioni di estrema sinistra all’interno del panorama politico americano. Attualmente accreditata del 2/3% delle preferenze, Stein avrà accesso a 522 voti elettorali e sarà affiancata dall’attivista di Washington Ajamu Baraka come candidato vice.
David Evan McMullin, 40enne di Provo, Utah, scende in campo come candidato indipendente affiancato dalla donna d’affari e digital media strategist Mindy Finn. McMullin è accreditato di accesso a soli 469 voti elettorali, ma al momento è il candidato di partito minore che rischia maggiormente di vincere uno stato, essendo accreditato del 31% nel natio Utah da un sondaggio di Emerson College uscito questa settimana – contro i 27% di Trump e il 24% della Clinton. McMullin è un ex ufficiale della CIA, ma il suo claim to fame è l’essere stato eletto direttore della legislazione del Republican Party all’interno della camera dei rappresentanti.
Darrell Lane Castle, 68enne procuratore di Memphis, Tennessee, è il candidato del Constitution Party, con accesso potenziale a 442 voti elettorali. Il suo candidato vice presidente è l’uomo d’affari Scott N. Bradley, 65enne nato e cresciuto in Utah.
Roque “Rocky” De La Fuente, 62enne uomo d’affari messico-californiano, è il candidato dell'American Delta Party/Reform Party, in lizza per un totale di 314 potenziali voti elettorali. Assieme a lui correrà Michael Alan Steinberg, 57enne avvocato della Florida.
Utente
23 aprile, 2016
Razzo ha detto
Benissimo, almeno così comincio a capire come votano gli americani, sperando che votino la Clinton, visto che quel pagliaccio potrebbe nuocere gravemente alla salute del pianeta, già moribondo.
A me sinceramente non convince neanche lei se fossi americana e dovessi votare, mi metterei le mani nei capelli.
Pikachu ha detto
A me sinceramente non convince neanche lei se fossi americana e dovessi votare, mi metterei le mani nei capelli.
Anch'io la penso come te, anche se le darei milliardi di voti, pur di non vedere Trump eletto.
Solo la constatazione che è arrivato fino a qua, mi rabbrividisce.
instagram: damianorac
Utente
9 settembre, 2013
Stanotte (alle 3:00 ora italiana, con diretta e traduzione simultanea su RAI News 24) si è tenuto presso l'Università del Nevada, Las Vegas (UNLV) l'ultimo dibattito televisivo fra i candidati Hillary Clinton e Donald Trump, che ha seguito i due confronti già avvenuti alla Hofstra University il 26 settembre, e alla Washington University di St. Louis, Missouri il 9 ottobre.
I due candidati si sono affrontati su varie tematiche, alcune già sviscerate nei precedenti confronti (l'economia, la politica estera, la lotta all'ISIS, gli scandali e le affermazioni a sfondo sessuale che hanno coinvolto Trump), altre invece affrontate per la prima volta (il Secondo Emendamento della Costituzione che tutela il diritto dei cittadini americani a detenere armi da fuoco, l'immigrazione, gli imminenti rimpiazzi di alcuni giudici della Corte Suprema, l'aborto, il debito pubblico).
Ho seguito il dibattito in replica questa mattina e più di ogni altra cosa mi ha colpito l'incapacità di Trump di rispondere alle domande formulate dal moderatore Chris Wallace, ogni volta deviando l'argomento su un binario più favorevole ai suoi scopi e spesso non risparmiandosi battutine e commenti puerili nei confronti della Clinton (interrompendo ad esempio l'arringa finale della sua rivale apostrofandola come nasty woman). Hillary non è una grande oratrice come Obama, non emoziona e coinvolge particolarmente, a tratti anche lei cade nel vecchio trucco da confronto politico di non rispondere direttamente alle domande, ma brilla per la sua capacità di dimostrarsi sempre competente, attenta e preparata ad ogni attacco del suo avversario - a differenza di Trump che spesso dà l'impressione di non essere adeguatamente preparato a un confronto diretto come quello suscitato dal dibattito, e di non sapere girare a proprio favore neanche i punti in cui gli americani si fidano più di lui (ad esempio l'economia, che tecnicamente dovrebbe essere il suo punto di forza ma anche stanotte ha proprio buttato via per andare invece ad attaccare random il trattato NAFTA per il libero scambio promulgato da Bill Clinton ancora nel 1994).
Il turning point del dibattito però è stato una dichiarazione shock dello stesso Trump, che ha affermato di non sapere ancora se riconoscere un'eventuale sconfitta l'8 novembre, facendo intuire che in caso di sconfitta potrebbe non riconoscere la vittoria di Clinton ed effettivamente minando alla base 240 anni di difesa della democrazia e la legittimità del sistema elettorale attualmente in uso Al momento il modello statistico di FiveThirtyEight.com assegna a Clinton una probabilità di vittoria dell'87.3%, contro il 12.7% di Trump; la proiezione stima 344 voti elettorali per la candidata democratica (contro i 193 previsti per Trump), e il 49.7% del voto popolare (contro il 42.8% per Trump e il 6.0% per Gary Johnson).
Voi che ne pensate? Avete seguito il confronto?
Utente
7 agosto, 2013
Non ho seguito il dibattito, anche perché sono convinto da almeno due anni che vincerà lei e sento zero suspense.
A parte il fatto di essere donna, Hillary Clinton rappresenta tutto quello che non mi piace delle forze politiche pseudo moderate dell'Occidente. Lui chiaramente è un personaggio viscido che si commenta da solo.
È chiaro che lei è il male minore (e proprio questo fatto mi fa pensare a una sorta di inciucio, ma tant'è), ma non riuscirei a votarla solo per non vedere Trump eletto.
Freedom comes when you learn to let go
Utente
7 agosto, 2013
Razzo ha detto
Benissimo, almeno così comincio a capire come votano gli americani, sperando che votino la Clinton, visto che quel pagliaccio potrebbe nuocere gravemente alla salute del pianeta, già moribondo.
Eh mentre con lei vivremo tutti in un mondo migliore. In politica estera hanno idee pure simili (all'americana insomma .-.), anzi lui forse è pure meno interventista di lei, in politica interna quello più dannoso sarebbe lui, ma la Clinton non mi sembra sta gran rivoluzionaria, i problemi esistenti all'interno non sarà certo una come lei a risolverli e rischia solo di peggiorare le cose all'estero.
Pure lui sì, ma entrambi direi ecco
Freedom comes when you learn to let go
Utente
23 aprile, 2016
Sushi ha detto
Non ho seguito il dibattito, anche perché sono convinto da almeno due anni che vincerà lei e sento zero suspense.A parte il fatto di essere donna, Hillary Clinton rappresenta tutto quello che non mi piace delle forze politiche pseudo moderate dell'Occidente. Lui chiaramente è un personaggio viscido che si commenta da solo.
È chiaro che lei è il male minore (e proprio questo fatto mi fa pensare a una sorta di inciucio, ma tant'è), ma non riuscirei a votarla solo per non vedere Trump eletto.
Sono d'accordissimo con te!
Utente
9 settembre, 2013
Utente
9 settembre, 2013
ge_aldrig_upp ha detto
Se non vince almeno uno stato, a niente
Anzi Gary Johnson che attualmente è dato al 6% nei sondaggi nazionali (ma sfiora il 15% nel New Mexico natio) rischia di ritrovarsi con in mano nulla pur raccogliendo più voti di qualsiasi candidato fuori dai due partiti principali dai tempi di Ross Perot '92 (che prese quasi il 20% ma nemmeno un elettore) e '96. Per tornare all'ultimo candidato di partito minore riuscito a conquistare almeno uno stato bisogna risalire fino al 1968, dove il secessionista e sostenitore della segregazione razziale George Wallace dell'American Independent Party guadagnò il 13.5% delle preferenze, 5 stati (praticamente tutto il sud-est tranne la Florida) e 46 voti elettorali.
Utente
7 agosto, 2013
concordo che neppure la Clinton sia questa gran cosa, anzi, però pur di non veder salire trump farei come caligola che ha nominato il suo cavallo in senato ragazzi
i discorsi di "entrambi sono male" ecc. sono verissimi, ma mica dobbiamo per questo essere indifferenti c'è sempre una scelta migliore (non ottima, ma migliore) e io la vedo senza dubbio in hillary
Utente
9 settembre, 2013
UPDATE a -10 giorni dall'Election Day.
Mentre 12,6 milioni di persone hanno già votato tramite early voting presso seggi fisici e absentee ballots via posta, Donald Trump ha recuperato qualcosa nei confronti di Hillary Clinton e al momento gli viene attribuito il 20.8% di possibilità di vittoria - in lieve risalita dal 15.4% del post-terzo dibattito - contro il 79.2% della candidata democratica.
Iowa, Ohio e Arizona, tre dei tanti stati ancora in bilico, sembrano favorire leggermente Trump secondo il modello di 538.com, ma non basterebbero comunque ad assicurare la sua vittoria. Nè gli servirebbe, al limite, conquistare i quattro stati che si protendono più leggermente verso la Clinton - contrassegnati nella mappa da un gradevolissimo colore carta da zucchero - ovvero il Nevada, la Florida (che come storia insegna è destinata a rimanere in bilico fino alla notte dei tempi), la North Carolina e il 2° distretto del Maine.
Il modello assegna al momento 317 voti elettorali per Clinton (con il 49.2% del voto totale) e 220 per Trump (con il 44.2%). É interessante notare come i voti recuperati dal tycoon e imprenditore sostenuto dal GOP vadano principalmente a scapito del candidato #3 ovvero Gary Johnson, che al momento flirta con la linea del 5% che varrebbe al Libertarian Party il finanziamento di fondi statali per le elezioni presidenziali del 2020.
Una notizia che potrebbe cambiare il corso degli eventi è la dichiarazione del direttore del Federal Bureau of Investigation (FBI), James Comey, sulla riapertura delle indagini riguardo il caso già ampiamente discusso dell'email server di Hillary Clinton durante il suo mandato come segretario di stato. Questo a causa della scoperta di nuovo materiale probatorio, consistente in uno scambio di mail fra Huma Abedin - fedelissima della Clinton - e il suo ex marito Anthony Weiner, già indagato in passato con l'accusa di sexting con minorenni. Non è chiaro al momento se le mail in questione coinvolgono la Clinton stessa (nel senso che i contenuti di queste riguardavano materiale di cui la candidata presidenziale non aveva il diritto di mettere la Abedin a conoscenza) o se, come sembra, la riapertura delle indagini sia dovuta a un eccesso di zelo dell'FBI in un momento alquanto inopportuno.
Utente
9 settembre, 2013
UPDATE a -8 giorni dall'Election Day.
Avevamo detto di una possibile rimonta dell'ultimo minuto di Donald Trump a causa dell'ultimo #emailgate e c'è da dire che questa previsione si sta almeno in parte avverando, con il modello di 538.com aggiornato per riflettere i dati degli ultimi sondaggi che assegna al candidato repubblicano il 25.8% di probabilità di vittoria, contro il 74.2% di Hillary. Il problema principale sta nel fatto che non tutte le rilevazioni sembrano concordi nel confermare l'impatto dell'ultimo scandalo che ha colpito la Clinton - il nuovo sondaggio di Morning Consult a livello nazionale vedeva la Clinton avanti di 3 punti a livello nazionale (contro i 6 punti dopo il 3° dibattito), ma allo stesso tempo NBC/SurveyMonkey è uscito con un altro sondaggio che non ha trovato nessun cambiamento rispetto ai dati di una settimana fa, con Hillary sempre in vantaggio di 6 punti su Trump.
C'è anche da dire che i media e l'opinione pubblica hanno tutto l'interesse nel mantenere viva l'attenzione su una partita che sembrava ormai chiusa due settimane fa, soprattutto per propellere il racconto di questa elezione presso il proprio pubblico.
Utente
9 settembre, 2013
UPDATE a -3 giorni dall'Election Day (e credo che sarà l'ultimo fino all'8 )
Come avrete potuto arguire dai media nazionali la corsa alla Casa Bianca fra Clinton e Trump si è resa ancor più competitiva di quanto potevamo pensare fino a un paio di settimane fa: se non al livello del "testa a testa" evocato dalle principali testate italiane, a un equilibrio che sostanzialmente da un paio di giorni è fermo al 65-35 in favore della candidata democratica, in una zona che ormai è ai margini di un potenziale errore statistico (pure estremamente improbabile). Ci sono stati segnali incoraggianti da entrambi i lati: Trump si fa forte della rimonta nei sondaggi, sia a livello nazionale come già anticipato il 31/10 sia in diversi stati strategici (vedi New Hampshire e Michigan che fino a poco tempo fa sembravano fuori portata e ora sono in parte rientrati in gioco). Al momento il modello basato sui sondaggi regalerebbe al candidato repubblicano un esiguo margine di vittoria anche in Nevada, North Carolina e Florida, che solo una settimana fa pendevano dall'altra parte dello spettro.
Nuova linfa alle chances di Hillary viene data dai dati che arrivano dall'early voting nello stato del Nevada, dove Jon Ralston di Radio KTNV chiama una vittoria praticamente sicura per i Democratici - 73,000 voti di vantaggio nella contea di Clark (quella dove si trova Las Vegas per intenderci) se si contano gli elettori che han dichiarato di essere tradizionalmente affini al Democratic Party all'uscita dal seggio, un numero addirittura maggiore del vantaggio che aveva accumulato Obama nell'early voting quattro anni fa.
A spingere le chances di riconferma dei democratici in Nevada c'è anche la candidatura di Catherine Cortez Masto come rappresentante del Senato, attualmente in vantaggio (anche se sul filo di lana) sul repubblicano Joe Heck. Stessa cosa sta accadendo in Pennsylvania dove la prorompente Katie McGinty è data in risicato vantaggio sul senatore uscente e candidato repubblicano Pat Toomey, mentre in Florida la Clinton dovrà vincere malgrado l'ormai possibile riconferma a senatore di Marco Rubio - già candidato alle primarie repubblicane per la presidenza - avanti di circa 5 punti sul 33enne candidato democratico Patrick Murphy.
Banned
7 agosto, 2013
Maria: Siete pronti?
Hillary: Sì, Maria.
Donald: Dai, Maria, manda le carte e non se ne parli più.
Maria: Va bene, vado. Dalla regia mi dicono che non sono pronte. Sono pronte? Non capisco. Ah ok.
Vado. CARTE.
* I've paid my dues, time after time*
Maria: Vince la 58esima edizione delle elezioni presidenziali..
*I've done my sentence, but committed no crime*
Maria: ..degli Stati Uniti D'America...
*And bad mistakes, I've made a few*
Maria: dai... forza... DAI.... DAIIIII!!!
*I've had my share of sand kicked in my face, but I've come through*
LEI, SEMPRE E COMUNQUE
Utente
7 agosto, 2013
ouro ha detto
Maria: Siete pronti?
Hillary: Sì, Maria.
Donald: Dai, Maria, manda le carte e non se ne parli più.
Maria: Va bene, vado. Dalla regia mi dicono che non sono pronte. Sono pronte? Non capisco. Ah ok.
Vado. CARTE.* I've paid my dues, time after time*
Maria: Vince la 58esima edizione delle elezioni presidenziali..
*I've done my sentence, but committed no crime*
Maria: ..degli Stati Uniti D'America...
*And bad mistakes, I've made a few*
Maria: dai... forza... DAI.... DAIIIII!!!
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Mi ricorda la proclamazione della Amoroso questo dialogo...
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