"Life is like a game, there are many players
If you don't play with them, they'll play with you"

Se mi conoscete un pochino pochino pochino, potete facilmente immaginare come io sia potuto impazzire di fronte ad una serie tv del genere

Personaggi costretti in un circuito chiuso, in una sorta di macabro reality show un po' Survivor e un po' Hunger Games, che per vincere un malloppone di soldi sono disposti a fare qualunque cosa? Yeah, it's me! 

Squid Game è una serie coreana del 2021 che, con i suoi 111 milioni di spettatori in soli 28 giorni, è diventata la serie tv più vista di sempre. Il fenomeno del momento, ma anche il caso del momento, per certi versi. Consensi e polemiche, infatti, viaggiano di pari passo come non mai, mentre la soglia di ciò che è accettabile mostrare e raccontare si spinge sempre più in là, non senza incontrare ostacoli e controversie. 

Se ogni decennio ha avuto la sua serie di svolta (gli anni '90 con Twin Peaks, i 2000 con Lost, i '10 con Game Of Thrones), Squid Game con la sua sola stagione all'attivo (per ora) si candida ad essere la serie degli anni '20 dopo cui nulla sarà più come prima. 

La trama di base, attorno a cui si sviluppano poi le vicende personali dei protagonisti, è presto detta: 

In una Corea del Sud dove si incontrano e si scontrano rassicuranti valori tradizionali e sofisticata modernità, un gruppo di persone ridotte sul lastrico e appartenenti a background diversi, viene reclutato con la promessa di poter guadagnare abbastanza soldi da risolvere i proprio problemi per sempre. Tutto ciò che dovranno fare è partecipare ad una serie di giochi che ricordano quelli della loro infanzia. 
Quello che scopriranno troppo tardi, invece, è che chi perde muore. 

Squid Game ha riscosso popolarità e successo a livello planetario, mettendo sul tavolo delle carte davvero straordinarie che vanno ben oltre le sue pur accattivanti premesse narrative di cui sopra. 

Innanzitutto c'è la creazione di un universo tanto articolato quanto reso familiare ed immediato da una serie di regole semplici e di simboli che subito ci agganciano nel mood del contesto. Non diversamente dai personaggi, una volta invitati a giocare e spiegate le regole del gioco, anche noi non possiamo resistere alla tentazione. 

C'è poi una brillantezza di scrittura e di linguaggio. La struttura degli episodi, la trama attorno ad ogni gioco, le vicende, personaggi interessantissimi di cui conosciamo gli angoli a poco a poco. Una costruzione della serie che ci fa riscoprire quel senso di "comunità di spettatori" di cui pochissime serie si possono vantare. Il piacere del commento, dello scambio di opinioni, del confronto su cosa è successo e cosa potrebbe succedere. Elementi in grado di creare un impatto sulla società e sulla percezione, la capacità di entrare a far parte di un patrimonio condiviso di riferimenti. 

In un gioco di attrazioni e repulsioni, che ci piaccia o no, Squid Game mette in atto anche un'interessante riflessione sulla violenza. Non è tanto la dimostrazione visiva a renderne scandaloso il grado di dicibilità, non è tanto l'estetica splatter che non è nulla di nuovo per degli spettatori avvezzi. Ad essere indicibile, scandalosa, indecorosa e pornografica è la normalità con cui questa violenza viene messa in atto. In tutta la serie non sono poi così velati i riferimenti a quella banalità del male che storicamente ci portiamo dietro in modo ancora oggi agghiacciante. 

Ogni racconto distopico, infatti, ci dice sempre qualcosa riguardo alla nostra realtà. E la realtà entra prepotentemente in Squid Game attraverso una serie di temi che emergono dallo sfondo. Sono temi sociali caldissimi, dalla crisi economica alla religione, dalla disparità sociale ed economica a questioni come la ludopatia, la precarietà del lavoro o l'immigrazione, dalla politica al divario sociale, al potere delle autorità. Con mezzi certamente discutibili, la società di Squid Game segue una sua stramba idea di uguaglianza e di meritocrazia. 

A mio parere, però, ciò che contraddistingue la serie e che la porta ad un livello più profondo rispetto a quello della prima chiave di lettura, è la sua umanità. Nascosta dietro la superficie di scenografie colorate, giochini spietati e meccanismi perversi, c'è un'umanità straripante e avvolgente. 

Gli autori hanno creato un mondo così lontano, inconcepibile, esaltato e surreale, e lo hanno in qualche modo reso plausibile, autentico, naturale, umano. Chi guarda la serie non fa la minima fatica ad accettarne il patto, ad immedesimarsi, a sentirsi presente a ciò che viene raccontato, a riconoscerne le sfumature che lo accomunano al mondo quotidiano e a fare dei dissidi dei protagonisti i propri dissidi.  

I personaggi sono posti dei fronte a delle torture morali, di fronte a scelte inammissibili a cui chiunque si sottrarrebbe. Eppure continuano a portare avanti la follia, toccati nelle loro debolezze, nonostante le loro remore. C'è sempre la possibilità di scegliere, sebbene le conseguenze di questa scelta spazino letteralmente tra gli estremi della vita e della morte, del benessere e della morte, del riscatto e ... beh, sì, dall'altra parte c'è sempre la morte. Per cosa vale la pena rischiare? Per cosa vale la pena arrendersi? Quali compromessi si è disposti ad accettare? Fino a che punto si è disposti a perdere la propria umanità? Vivere vuol dire davvero aver vinto? Morire vuol dire davvero aver perso? 

Ognuno rivelerà il proprio meglio o il proprio peggio, regalandoci momenti toccanti ad altissimo tasso emozionale, come mai ci saremmo aspettati ad una lettura semplicistica di quelle premesse che magari arrivano da sole all'orecchio della gente con un po' troppa frettolosità. 

Squid game è una serie che ci appassiona, che ci eccita, che ci spaventa. È una serie che ci gela il cuore con la stessa potenza con cui sa riscaldarcelo. Ci fa riflettere sulla nostra natura di esseri umani, su chi siamo. E forse è questo a sconvolgerci di più. 

"Good rain knows the best time to fall"