In un'epoca in cui la musica è tornata a muoversi per brani singoli, da consumare alla velocità della luce, vedere un’artista pensare in termini di 'album' è sempre più raro. E che addirittura si impegni in un 'progetto' che di album ne conta tre è decisamente fuori dalla normaMarco Mengoni ha immaginato proprio questo e ha messo mano a Materia, che si compone di tre lavori, il primo Terra uscito lo scorso dicembre, il secondo Pelle che esce il 7 ottobre e il terzo ovviamente ancora in gestazione. Tre album per presentare tante diverse anime, tante sfaccettature di un'unica, ricca, personalità. Con una certa urgenza interiore, che lo ha spinto a far uscire il secondo lavoro, Materia – Pelle, a meno di un anno di distanza dal precedente: "Il progetto era nato così, con questi tempi, con l’esigenza di raccontare in ogni album cose diverse", spiega Mengoni, “questo in origine doveva essere meno specifico, anche se paradossalmente lo è di più, pur mantenendo una grande varietà al suo interno".
Una varietà che è per Mengoni intrinseca alla sua natura: “Ho fatto il test del mio Dna e ho scoperto una cosa che forse, inconsciamente, sapevo già da prima: sono per il 35% italiano, il resto viene da qualsiasi parte della terra, e una grande percentuale è mediorientale. È stato fichissimo portare questa coscienza all’interno del processo creativo di questo disco perché 'contaminazione' è la parola più forte e presente, con suoni, strumenti e atmosfere da ogni parte del mondo”. Un album in 'movimento', dunque, non statico, disposto a non seguire il mainstream: “Per farlo ho scritto tanto, cercando di essere lontano dalle correnti, mescolando tutto quello che mi interessava”, dice Mengoni, “il che, sia nei testi che nelle musiche, lo ha reso a mio avviso meno fruibile, meno pop del solito”. Il che non impedisce a Mengoni di mettere mani e piedi nella 'musica che gira intorno', con pezzi come No stress e di trovare la strada per raggiungere il pubblico più ampio in molti momenti dell’album. Di certo, come confessa, il lavoro sui testi lo ha catturato profondamente, “in molti casi è stato più complicato scrivere, in alcuni casi addirittura causa di sofferenza, come per Respira, dedicato a mia madre, con un testo emotivo, profondo. Mi sono trovato a dovermi frenare alle volte, mi sembrava di andare verso un lavoro complicato, di uscire un po’ troppo dal mio ruolo di musicista e cantautore popolare. Credo di aver trovato un equilibrio, alla fine”.
Risultato ottenuto mettendo insieme le esperienze personali e la loro traduzione in musica, provando a portare nelle nuove canzoni anche cose che prima non arrivavano a vedere la luce: “C’era l’esigenza di raccontare e farlo il primo possibile”, dice, “mi ero ri-iscritto all’Università, a Psicologia, ho dato degli esami che mi hanno aperto un po’ dei cancelli, delle porte, e questo dovevo raccontarlo, anche seguendo l’evoluzione musicale che mi spingeva verso suoni nuovi. Ecco perché ho iniziato questo percorso, nato attingendo da qualcosa che era già in me ma che si è evoluto e arricchito andando a cercare, nutrendo la mia sete di sapere”.
Un disco musicalmente in movimento e allo stesso tempo il racconto di una crescita, di un cambiamento, inserito chiaramente in un percorso che viene poi esplicitato nei concerti, quelli negli stadi dell’estate passata, quelli che sono iniziati a Mantova il 2 e 3 ottobre, approdati a Milano l'altro ieri e che lo porteranno fino alla fine del mese in altre dieci piazze italiane, un 'work in progress' che non lo spaventa: “Al contrario, è proprio così che tutto diventa un percorso”.