Va bene anche per me

Ho sempre avuto un rapporto ambivalente con le reaction, fin da quando sono state rese disponibili da Facebook ormai più di tre anni fa. In un certo senso hanno sopperito a un bisogno che c’era, perché effettivamente non era poi così bello rispondere con un “mi piace” al post dell’amico depresso, al compianto per il micio defunto o al video sensibilizzatore sulla mattanza dei cani in Cina. In un certo senso, il mettere like alle disgrazie altrui appariva un po’ come una forma addizionale di Schadenfreude, perché se da che mondo è mondo (e da quando esistono i social network) la rete è diventata un po’ il posto in cui scaricare le proprie frustrazioni, vedere post scritti al solo scopo di sfogarsi e cercare il conforto della propria rete di amici che venivano ricoperti di “mi piace” assumeva un sottotesto perlomeno ironico.

Le reaction hanno posto fine a tutto questo. Adesso se vuoi piangere un cadavere di VIP ancora caldo usi il Sigh; se vuoi stalkerare il tipo o la tipa che non ti si fila di pezza tempesti di Love tutte le sue foto profilo; se preferisci esprimere il tuo disappunto contro la politica o gli immigrati ti basta cliccare Grrr; se vuoi semplicemente mettere alla berlina il commento di qualcuno che non la pensa come te, un Ahah vale più di mille parole.

È da lì che è nato un po’ il mio problema con le reaction: specie sulle pagine pubbliche, mi sono accorto in breve come abbiano contribuito all’imbarbarimento dell’environment già abbastanza tossico di Facebook – perché se prima un post poco intelligente o non condivisibile non veniva premiato dai “mi piace”, adesso facendo incetta degli Ahah e dei Grrr questo va ad intercettare l’algoritmo del social, finendo più in alto nella lista dei commenti perché “più popolare” e magari nascondendo contributi che meriterebbero maggiormente.

Ovviamente non tutto il male vien per nuocere, ed è indubbiamente vero che l’inserimento delle reaction abbia dato modo agli utenti più creativi di trovare nuovi modi di vivere Facebook (alcuni hanno tentato di usarle come opzioni di risposta a un ipotetico sondaggio, logicamente prima che Mark Zuckerberg implementasse anche questa funzione) ed abbia consentito di esprimere anche dei messaggi sociali di grande impatto (mi riferisco principalmente alla reaction Pride, introdotta nel 2017 per celebrare il Pride Month e mai più reiterata). Però allo stesso tempo trovo che l’utilizzo smodato ed inappropriato delle reaction abbia contribuito a svilire il contributo dell’utente medio di Facebook, intento ormai più a “reagire” ai contenuti degli altri che a produrne di suoi.

In sostanza, un altro passo verso GlobalTeens, il social network del futuro descritto da Gary Shteyngart in Super Sad True Love Story – quello dove non contano più le “noiose” parole, ma solo l’immediatezza delle immagini e l’approvazione della tua bolla d’influenza.