Moderatore Junior
7 agosto, 2013
Faccio l'in bocca al lupo ai due sfidanti, che in questo contest non si sono risparmiati, portandoci sempre delle proposte interessanti, sentite in primo luogo da loro stessi e poi anche da noi, attraverso le loro suggestioni.
Mi collego anche io al discorso di Edre in risposta a Scio. L'attribuzione del punteggio non è da tradursi come un giudizio sul valore o sulla qualità. La qualità è stata davvero altissima e da questo punto di vista fanno mille e altre mille volte più fede i commenti che i freddi numeri. Ho cercato anche io di giungere ad una decisione più netta possibile, certamente per onorare il mio ruolo e non "cavarmela" con voti di misura, lasciandomi questa eventualità soltanto davanti ad una forte situazione di difficoltà a trovare in cuor mio un vincitore, una sorta di pareggio non contemplato. Il meccanismo di questo Gala era costruito in questo modo, ma questo non vuol dire che le prove che sul piano numerico hanno ricevuto 0 punti valgano 0, o valgano 0 rispetto al 3 dell'avversario, assolutamente no e credo che dai commenti si possa evincere benissimo. La grandezza delle vostre prove è evidente e l'apprezzamento è immenso. Conta quello, davvero.
Per quanto riguarda l'altro aspetto emerso, ossia la percezione di aver ormai dato quello che c'era da dare, mi sento di dirti che non è assolutamente detto, proprio no. Da questo gioco ho imparato che non si arriva a partecipare con un kit già confezionato, ma è il gioco stesso che arricchisce il rapporto con il proprio MFS, che è un rapporto in divenire ed è il gioco stesso stimolante nella continua scoperta di emozioni, informazioni, interpretazioni, chiavi di lettura, interi pezzi che magari non erano ancora stati indagati, così come magari parti di noi stessi. Trovo che sia una grande opportunità. Anche se alla prima lettura un tema può spaventare, la creatività non ha confini. Avete già dimostrato di saper gestire questo step e tirar fuori cose molto belle.
Scio, hai fatto benissimo, comunque, a condividere questa riflessione, credo e spero che sia stato utile
Game Ranking Winner 2021/2022
Utente
30 novembre, 2019
Un po' in ritardo ma voglio fare i complimenti anch'io ai miei compagni di gioco per aver tirato fuori delle proposte magnifiche, uno ad uno siete riusciti ad entrarmi nel cuore.
Felice che ognuno di noi, chi più e chi meno, sia riuscito ad emozionare voi giudici e tutor...grazie per i vostri commenti preziosi.
In bocca al lupo ad un sorprendente Sparso e ad un fragile Edorf ♥
Utente
4 febbraio, 2018
Non vorrei che sembrasse che mi stia defilando dicendo così lol però credo che sarei ridondante a esprimere i concetti già espressi dai miei "colleghi", quindi insomma dico che concordo in toto con tutte le risposte già condivise da Edre ed Alby riguardandi l'attribuzione dei punteggi in tale galà.
Ho apprezzato in maniera esponenziale anche io le sfide, tanto da mangiarmi le mani credendo di sbagliare i giudizi, in quanto parlavamo di prove tra l'ottimo e l'eccellente in quasi tutti, e discriminare tra l'ottimo e l'eccellente è molto più impegnativo che farlo tra il sufficiente e l'insufficiente, però in questi casi va fatto lo stesso, ahimè.
Comprendo la facilità nel demoralizzarsi, è un percorso complesso che non mette alla prova solo a livello di gusto o conoscenza musicale come gli altri contest, ma mette alla prova molto il proprio intimo approccio e la propria persona in musica, e questo può affaticare chi lo vive. Io nel tuo caso @Scio16 sono riuscito a empatizzare moltissimo con i tuoi racconti, sono un grandissimo estimatore dei Cranberries e di Dolores, non credo affatto che siano un gruppo poco sfaccettato, così come sono sicuro che il tuo percorso non sia esaurito. Quel grande vaso che rappresenta il legame con un cantante non è riempito solo dai ricordi più significativi, ma anche da piccoli granelli di polvere che possono inaspettatamente rendersi grandi spazi di emozioni. Questo viaggio ti permette di esplorare a volte anche ciò che non era stato messo in conto.
Infine vorrei anche dire che a volte il legame non è basato solo sul passato, c'è anche il presente e pure il futuro.
C'è tanto da fare, e in primis ciò che i giochi ci donano principalmente è la possibilità di esprimere e recepire. Sto stimando tutti i percorsi, e sono sincero, quindi mi dispiacerebbe vederli interrompere prima di quando il destino aveva in mente di farlo. Un megakiss
Ps. In bocca al lupo sparso e edo
Utente
7 agosto, 2013
Buonasera a tutti! Vi comunico il vincitore del ballottaggio che è
@edorf con i Within Temptation
Complimenti
Utente
7 agosto, 2013
Ringrazio @sparso per essersi buttato nuovamente in gioco penso che in questa edizione, indipendentemente dal risultato finale, tu abbia dato veramente il meglio di te! E credo anche che se lo scorso gala non fosse stato organizzato in duelli magari tutto sarebbe andato diversamente, perchè hai proposto una prova veramente magnifica e toccante spero continuerai a seguirci e che ti faccia piacere votare come pubblico!
Utente
7 agosto, 2013
COMUNICAZIONE
Comunicazione che interessa soprattutto chi è in gara con una band. Solo ed esclusivamente per questo Gala vi viene concesso (se ovviamente lo riterrete opportuno rispetto alla vostra proposta) attingere al repertorio solista del frontman/woman (o di uno dei componenti) della vostra band. L'innovazione può essere intesa anche in questo modo. Sono inoltre concessi, per tutti, anche i duetti o le cover, in quanto anche queste due tipologie di performance possono fare riferimento a qualcosa di innovativo o differente all'interno della discografia del vostro artista preferito.
Ricordo che per @Iry8 @edorf @Scio16 la consegna è fissata per le 18:00 di domenica.
@semota @Alabama Monroe @amers @AbiuraDiMe potranno consegnare entro le 19:00 sempre di domenica.
Moderatore Junior
7 agosto, 2013
Complimenti ad Edorf, che in questo ballottaggio ha sganciato una bombetta dei WT.
Sono profondamente dispiaciuto per l'eliminazione di @sparso e di Anna Oxa. Mi espongo per dire che secondo me eravate l'accoppiata reduce dal duello più combattuto. In un Gala con un meccanismo diverso per me sareste stati comodamente fuori dalla Bottom 4, quindi mi dispiace veramente tanto.
La cosa che più conta, e ne sono estremamente convinto, è che questa è stata una partecipazione che ha lasciato il segno, dalla prima canzone fino a questo ballottaggio. Non solo hai gestito Anna in maniera divina, portando dei pezzi originali che la facessero scoprire e riscoprire per l'immensa artista che è, ma hai regalato a tutti noi dei bellissimi frammenti di te. Ci hai emozionato tanto, con delle canzoni bellissime e con dei racconti davvero importanti. Ne esci a testa altissima, con grande onore, e ne sono molto felice. Ti faccio i complimenti e ti ringrazio per come hai portato avanti questa partecipazione. Bravo bravo bravo.
Moderatore - Mentore
Moderatore Junior
7 agosto, 2013
@alessandrino il brano che presentiamo può anche non essere contenuto in nessun loro disco?
Intanto faccio i complimenti a edorf ma anche a sparso per il bel lavoro con la Oxa.
Riguardo il gala appena finito ringrazio i giudici e i tutor per i commenti. E ad alcune canzoni che avete portato, bellissime.
Il percorso di Sparso e Anna Oxa mi stava davvero appassionando, sono dispiaciutissimo ma ti faccio anche tanti complimenti per avermi fatto conoscere altri lati di un'artista che già veneravo di mio ♥️ ovviamente complimenti anche a Edorf per il risultato.
Sulla nuova comunicazione riguardo la prova... Boh va bene uguale tanto a me non cambia niente...
Ps: grazie anche agli altri giudici per i chiarimenti!
Utente
7 agosto, 2013
amers ha detto
@alessandrino il brano che presentiamo può anche non essere contenuto in nessun loro disco?
Intanto faccio i complimenti a edorf ma anche a sparso per il bel lavoro con la Oxa.
Riguardo il gala appena finito ringrazio i giudici e i tutor per i commenti. E ad alcune canzoni che avete portato, bellissime.
Si amers, va benissimo
Game Ranking Winner 2021/2022
Utente
30 novembre, 2019
Complimentoni ad Edorf, ma anche a Sparso. Sono stato felice di essermi scontrato con te nell'ultimo gala, sia il brano che la tua descrizione mi hanno colpito molto. Bravo anche per il tuo percorso in cui sei riuscito sempre a mostrarci una Anna affascinante e poliedrica.
Utente
4 febbraio, 2018
Complimenti edorf per il passaggio
Io vorrei salutare @sparso , che è stato uno dei concorrenti il cui percorso mi ha appassionato di più. Senza nulla togliere agli altri, che ovviamente stanno tutti portando avanti dei percorsi eccellenti, questa settimana il tuo lavoro era nella mia top 3 delle prove che ho preferito, e penso che la tua sfortuna sia stata quella di ritrovarti in sfida proprio con uno degli altri membri della top 3. Una sfortuna in tal caso fatale, ma speravo vivamente ne uscissi salvo perché non mi entusiasma(va) l'idea che uscissi con questo lavoro (un double shantay si può?lol).
Purtroppo però il livello è alto, e ogni eliminazione sembra un'ingiustizia. Io spero che questo percorso possa averti donato qualcosa di positivo, perchè dalle tue parole ho percepito tanta ricchezza interiore. Goodbye and good luck
E ora seven of you are left, who will be the one and only mfs? Let the music playyyy
Utente
7 agosto, 2013
Buonasera a tutti! Eccomi qui, rientrato appena adesso a casa
sono pronto per postare le vostre proposte per questo Gala "Innovativo"
sono molto curioso di vedere come avrete deciso di interpretare questo tema e inoltre ricordo che alla fine di questo Gala, purtroppo, due di voi dovranno abbandonare la gara ad un passo dalla semifinale
A tra poco!
Utente
7 agosto, 2013
My Favorite Singer - Gala 6
London Grammar & @Alabama Monroe - Californian Soil
California Soil segue lo stile caratteristico dei London Grammar, ma con nuovi sapori, più freschi, sensuali, ammalianti. L’intero brano è attraversato da una linea di suoni ripetuti costantemente quasi a voler creare una sorta di ipnosi e trasmettere sensazioni di mistero nell’ascoltatore.
Tra i pezzi della band trovo che Californian Soil sia innovativo, in quanto, oltre ad avere un sound differente, è la canzone-simbolo di un album che affronterà un tema da loro mai toccato prima: ritrovare sé stessi, avere una presa di potere della propria vita, perdersi nel caos ed uscirne indenni. Il caos di un mondo in cui ci si sente inferiori e oppressi solo perché si è se stessi.
In questo caso un mondo misogino, in cui Hannah si è sentita inferiore e giudicata solo perché donna. Tanti sono stati i commenti nei suoi confronti da parte di uomini che hanno giudicato il suo essere senza soffermarsi sulla sua vera essenza. Hollywood (e la California citata nel brano) ha una grande tradizione di sessismo nei confronti di attrici o cantanti. Lungo è l’elenco di espressioni misogine con cui le donne vengono presentate o cercate, ad esempio, nelle sceneggiature o in certi annunci.
Hannah col tempo ha saputo farsi forza e, grazie anche ai suoi compagni Dan e Dot, è riuscita ad affermarsi e ad essere una front woman di un gruppo.
Caparezza & @AbiuraDiMe - Sono il tuo sogno eretico
Il brano che ho scelto di portare per questo gala è Sono il tuo sogno eretico, tratto dall'omonimo album del 2011. È un brano al quale sono particolarmente legata perché permette di mettere in luce alcuni punti di forza di Caparezza che lo rendono un artista unico nel panorama musicale, ma anche perché mi ha dato l’input per poter approfondire questo artista ed entrare nel suo coloratissimo mondo.
Era il 2012 quando ho sentito per la prima volta questo pezzo. Ricordo che stavo ascoltando distrattamente il concerto del primo maggio in tv, quando una musica tipica delle ballate medievali catturò la mia attenzione. Chi era quel pazzo che portava una cosa simile sul palco del primo maggio? Caparezza naturalmente!
Incuriosita da quella melodia fuori dal tempo, sopra la quale qualcuno non stava cantando bensì sparando come una mitraglia una miriade di concetti, decisi di prestare attenzione alle parole.
Testo (e wikipedia) alla mano riuscii a ricostruire il racconto del brano: tre personaggi, Giovanna D’Arco, Savonarola e Giordano Bruno, eretici perseguitati a causa dei loro pensieri e morti sul rogo, prendevano vita attraverso le parole e la voce di Caparezza per narrare le loro vicissitudini. E accompagnati da un tappeto musicale dai toni folk e dal suono delle fiamme che ardono, esprimevano i loro concetti con un flow cadenzato quasi come fossero tre MC in una rap battle di tempi antichi.
Il racconto dei personaggi è fortemente evocativo e allusivo ed è un pretesto per Caparezza per toccare altri argomenti.
Sono una donna e sono una santa / sono una santa donna e basta / Sono stata una casta vincente / prima che fosse vincente la casta
Così, la metafore di Giovanna D’Arco diventa una condanna contro l’atteggiamento di ostracismo nei confronti di chi esprime il proprio pensiero andando con forza contro la massa.
Detesto i potenti della città / Detesto Sua Santità / un uomo carico d’avidità/ che vende cariche come babbà
Le parole di Savonarola sono un’opportunità per esprimere, in maniera neanche troppo velata, una critica nei confronti della chiesa.
Nella cella reietto perché tra fede e intelletto / ho scelto il suddetto / Dio mi ha dato un cervello / se non lo usassi gli mancherei di rispetto
Ed infine anche il racconto di Giordano Bruno è un monito contro l'atteggiamento di censura ed un invito ad esprimere sempre il proprio pensiero e a ragionare con la propria testa senza farsi influenzare.
Michele riesce ad essere molto empatico nei confronti dei tre eretici, essendo stato lui stesso spesso visto come un “eretico del rap” per il suo modo inusuale di farne uso.
Caparezza infatti si serve del rap, ma non può definirsi rapper nel senso più stretto del termine.
Nei primissimi demo e album si può trovare qualche spunto riconducibile alla cultura hip hop, ma negli anni la definizione di “rapper” ha iniziato a stargli stretta e ne ha preso sempre più le distanze.
Il motivo è che lui ha poco a che fare con questa cultura, in una canzone dell’album successivo candidamente afferma “E non parlo di ghetto perché io vengo dalla terra di Banfi. Se parlassi di ghetto tu capiresti l'animaletto coi baffi”.
Dunque, pur continuando ad usare lo stilema del rap, con il tempo il suo è diventato un genere sempre più personale ed unico.
Spesso, a differenza del classico rap che è un flusso di coscienza intimo e personale, Caparezza riesce ad astrarsi e ad entrare nei panni di personaggi diversi ai quali desidera dar voce. E se con la penna riesce a fargli prendere vita e a dargli carattere, con la parte musicale riesce cucire addosso a questi personaggi le ambientazioni che più gli si addicono.
Ed è questo ciò che accade in Sono il tuo sogno eretico.
Caparezza si fa da parte per dar voce a chi pensa non ne abbia avuta abbastanza in vita, per fornire a queste persone un riscatto, una rivincita o semplicemente per dargli una possibilità di appello.
La melodia ricca di strumenti e di suoni poco riconducibili ad un tipico brano di genere rap è un suo marchio di fabbrica. Nelle sue canzoni, infatti, Michele è solito mescolare sound rap e sonorità rock, lasciando ampio spazio alle chitarre, alla batteria e alle tastiere.
Mentre gli echi medievali utilizzati in questa canzone per ricreare un’atmosfera più realistica, da moderno menestrello, costituiscono un unicum nella sua discografia.
Prima di scoprire questa canzone avevo sempre associato l’arte del cantastorie a quella del cantautore.
Cantastorie per eccellenza, per me, è sempre stato De André che con la sua voce profonda e calma è in grado di dipingere dei veri e propri quadri in musica e di raccontare le varie sfaccettature dell’animo umano, rappresentando senza filtri le verità dei suo anni.
Non avrei mai pensato che l’arte di raccontare storie in musica potesse essere interpretata in modo diverso, con l’energia dirompente del rap, un genere che mi aveva sempre affascinato per il modo creativo di giocare con le parole ma che fino ad allora non mi aveva mai coinvolto più di tanto perché trattava di argomenti lontani dal mio modo di essere.
Michele, dunque, ha anche avuto il merito di aver aperto un enorme varco e di aver scardinato tutti i pregiudizi che avevo. Mi ha permesso di appassionarmi ad un tipo di canzoni che hanno come elemento principale le parole, tante parole e che sono quasi come dei giochi da risolvere e da scoprire pian piano.
E così, accanto ai personaggi di Faber, dipinti con estrema grazia e delicatezza, ho aggiunto i personaggi di Michele che dipinge i suoi personaggi con un mezzo, il rap, generalmente usato per tutt’altri intenti, in un modo del tutto inusuale, carico di energia e di forza.
My Indigo (Within Temptation) & @edorf - Someone like You
Dopo la fine del Hydra Tour nel 2015 Sharon si ritrovò esausta e visse un periodo di blocco artistico. Nello stesso periodo il padre iniziò la chemio terapia: per lei in quel momento era inimmaginabile scrivere dei testi adatti alla proposta musicale della sua band, espressioni di forza, resilienza e utili per sconfiggere le avversità, quando lei stava attraversando un periodo dove si sentiva invece particolarmente fragile e vulnerabile.
Aveva bisogno di trovare un suo nuovo equilibrio, di ricentrarsi, in qualche modo sentiva l'esigenza di evolversi e innovandosi, di cambiare. Proseguendo con la produzione, brano dopo brano, si rese conto che il risultato era armonioso ma davvero troppo personale e diversificato da quanto finora proposto e che la giusta collocazione per quei brani era di unirli tutti in un CD, “My Indigo”, che è anche il nome del suo progetto parallelo.
La creazione di “My Indigo” per Sharon è stata una tappa fondamentale per potersi rinnovare. Quando Sharon disse agli altri membri dei WT di questa sua necessità, tutti si dimostrarono comprensivi e solidali. Non solo, il chitarrista Ruud le disse che si sarebbe immaginato di questo suo bisogno artistico e creativo già dopo la registrazione del mega evento tenuto a Java nel 2005, contenuto nel DVD “The Silent Force Tour”, durante il quale Sharon era incinta della prima figlia, Eva Luna.
Utilizzò la musica come una terapia. Si servì del colore per esprimere le emozioni e particolari stati d'animo, come fece anche in passato ad esempio in “Silver Moonlight” dei WT “Too many shades of grey, I cannot breathe”, e l'indaco rappresenta il colore di quel preciso frangente, un periodo di profonda riflessione che le portò nuova consapevolezza: quando lo annunciò a novembre 2017, disse che proprio grazie a questo processo creativo ritrovò le forze anche per riprendere in mano i Within Temptation e che da lì, a breve, avrebbero annunciato novità a riguardo.
“For many years we’ve been touring and everytime we came home I used to start writing songs almost immediately and was happy to do so. After the last tour I tried to do the same but it wasn’t the same. Eventually I found myself in a crisis which was bigger than just not being able to write songs. The years of touring and working under a certain pressure took its toll and besides that there were things in my personal life I had to deal with.
I really took time off, but when I started writing again it was something totally different than WT, but this was what I needed and I embraced it. Besides all of this I’m happy to tell you that my journey has led me back to Within Temptation. There will be a new album and a tour but more about that in the near future."
“Someone Like You”, non è una cover del celebre brano di Adele, ma è uno dei dieci inediti che compongono “My Indigo”. Sharon non ha mai negato di essere una fan di Bob Marley e finalmente lo ha potuto mostrare introducendo delle influenze reggae all'interno del pezzo.
Il testo è una riflessione sul periodo che stava attraversando e sui suoi ultimi vent'anni di vita.
La prima strofa si riferisce al rovescio della medaglia di essere leader di una band di successo come i WT. Gli ultimi 20 anni della sua vita li ha trascorsi tra un tour e l'altro e appena finiva un tour si gettava immediatamente nella scrittura del CD successivo.
Ivy growing up on the bleeding walls
Every leaf a breath of the story
Autumn and they all fall down
Now I’m seeing clearly how
Heavy is our glory
Il preritornello parla dei suoi sogni da ragazzina adolescente di fare la cantante e si accorge che tuttora ha ancora quel sogno.
Because I won't find it
There's no one quite like you
And I still hold on, entangled in your roots
Just like I was fifteen summers young
And I closed my eyes, I knew you’d come
As I imagined someone like, someone like... like you
Nel ritornello ripete semplicemente “Someone like, someone like... someone like you” diverse volte perchè fondamentalmente lei identifica i Within Temptation con la figura di Robert, suo compagno e fondatore della band con lei perchè la relazione con lui va di pari passo con quella della band.
Nella seconda strofa parla del periodo di smarrimento interiore che ha vissuto quando ha avuto per la prima volta un blocco creativo e la paura che esso fosse permanente perchè durante quel momento andò in crisi esistenziale. Una crisi nella quale pensò insistentemente a cosa sarà del futuro, a cosa sarà della sua vita vedendo tutto quello che ha sognato, e ha lottato per averlo, tramutarsi in sabbia, sentendosi estremamente fragile e vuota.
So tell me where the nomad wanders on
Is it in a world untravelled?
Is it where the music plays?
Filling up the empty space
It's where you left me fragile
Il brano è totalmente differente da ciò che ha pubblicato con i Within Temptation, non ha un crescendo emotivo, l'interpretazione è sentita, ma non è teatrale, non è drammatica.
Mi sono sempre immaginato un video per questo brano, Sharon con un kaftano a piedi nudi sulla spiaggia e, piano piano, si aggregano a lei, Robert con i tre figli, i vari membri del progetto “My Indigo”, i vari componenti dei WT che si sono susseguiti durante gli anni con relative famiglie, con i quali sono rimasti con tutti in ottimi rapporti, Daniel Gibson, produttore e coautore nei WT dai tempi di “The Silent Force” e ovviamente anche nei “My Indigo”, la madre e tanti altri.
Sharon quando ha vissuto questo periodo aveva dieci anni in più di me e io, tra dieci anni, vorrei potermi voltare indietro e guardare il futuro con la stessa consapevolezza e serenità con la quale Sharon canta “Someone Like You”. Non vorrei rivivere un periodo di smarrimento interiore come quello che ho appena passato, proprio Giovedì scorso dicevo alla mia psicoterapeuta “mi pare di essere rimasto qui a casa con i miei genitori con un pugno di mosche in mano” mentre io tra dieci anni vorrei avere un lavoro soddisfacente, una persona al mio fianco che mi ami e con cui costruire una famiglia. E soprattutto con la quale poter cantare un giorno:
I knew you’d come
As I imagined someone like you
Elisa & @semota - Seven Times
Elisa segue la musica che la ispira e in ogni suo lavoro troviamo delle sfaccettature diverse che seguono le fasi della sua vita e della sua anima. Per questo penso che ci siano vari momenti di innovazione nella sua carriera. Ho scelto di parlarvi della fase che riguarda il suo secondo album.
Nella primavera del ‘99 inizia un periodo difficile. Il lavoro va bene ma le piomba addosso la pena d’amore più grande che abbia mai conosciuto e la band si sgretola (il ragazzo era il suo batterista). Non esce volentieri, non parla volentieri, non vive volentieri. La depressione le succhia via dieci chili. Per lei sarebbe il momento di fare qualche sregolatezza invece lei sceglie la musica “Avevo elementi che potevano portarmi in direzione autodistruzione, ma non sono molto coraggiosa, me la faccio addosso a pensare di seguire quella natura, che pure in parte ho. Gli eccessi hanno un costo, mi fanno paura, il mio senso di responsabilità è troppo forte e davanti alle persone dissipate e geniali divento materna, una chioccia, non una concubina cosmica. Ho scelto la musica come via d’uscita, sperando di evitare comunque la mediocrità. È stata l’acqua e il cibo della mia anima.”
La situazione in quel periodo è però insostenibile in Italia. La soluzione è partire e la prima meta è Londra. Elisa straborda di idee, stende trenta brani e parlano di lei. Ma le manca il produttore e gira per dieci mesi tra gli studi di mezza Europa. La direzione musicale sfugge ed è incerta come il titolo del nuovo album: prima Rambling Bomb, poi Lisert e infine semplicemente Asile’s World, il mondo di Elisa capovolto.
“Non capivo come rapportarmi al disco. Avevo scritto testi così forti che quasi mi disturbava cantarli. Ero veramente al limite. Lentamente sono uscita dalla palude e sono ripartita. È il lavoro più sofferto che ho realizzato, tra i miei preferiti per profondità e purezza. Era diverso da tutto quello che avevo fatto fin ad allora. Non tanto per arrangiamenti ma per composizione. L’animo era cambiato ed erano i brani stessi a suggerire l’uso dell’elettronica. Erano dei veri outsider.”.
L’innovazione che voglio portare di Elisa a livello musicale e della sua discografia è proprio l’elettronica che segna uno stacco con l’album precedente e che Elisa riproporrà anche in lavori successivi.
A livello personale porto la fase di Elisa più buia probabilmente, che stacca molto dalla visione che tutti avevano di lei di persona aulica e un po’ fatata. E lo si percepisce subito dal titolo del disco. Quando l’ho visto ne rimasi subito affascinata perché quel nome capovolto lasciava intendere che ascoltando le canzoni si sarebbe potuti entrare in un mondo diverso, in un mondo ancora sconosciuto agli ascoltatori ma allo stesso tempo un mondo che un po’ mi preoccupava avendo amato l’Elisa del primo album e non sapevo se ero pronta ad un’Elisa diversa e più cupa. Ma con sorpresa poi mi piaceva anche di più sia in suoni che in atmosfere. L’ho sentita ancora più vicina. Quando ho letto la storia dietro l’album mi ci sono legata ancora di più perché fa parte di una fase che mi ha accompagnato a livello personale per molto tempo.
In Asile’s World confluiscono brani catartici e io ho scelto Seven Times che è il tentativo di liberazione da odio e amore attraverso il numero magico sette.
Sette come i bracci della Menorah, il numero buddhista della completezza, i giorni della creazione, le colonne su cui poggia il mondo del Corano, le meraviglie della terra, i vizi capitali, i colori dell’arcobaleno, le note musicali, i chakra, i cieli che si toccano con la felicità, il numero da ripetere settanta volte per perdonare.
Il pezzo descrive anche molto bene la fase negativa di Elisa che l’ha portata poi a innovarsi personalmente anche se c’è voluto del tempo.
"What are you planning for this body
You're still cruel and you're spiteful mind
But you'll not catch me this time
'Cause I'm just looking for the sun
And it takes time (I swear I'll be patient)"
"Cosa stai progettando per questo corpo
Sei ancora crudele e la tua mente dispettosa
Ma non mi prenderai questa volta
Perché sto solo cercando il sole
E ci vuole tempo (giuro che sarò paziente)"
La ripetizione di suoni e delle parole “love” e “hate” in un effetto loop rende l’atmosfera angosciante.
E all'esplorazione dell'angoscia legherà anche un progetto che realizzerà a Torino, un live sulla solitudine domestica intitolato Home, una performance che la vede chiusa dentro ad una stanza di plexiglass, a scrivere con la vernice bianca sulle pareti i titoli delle canzoni al contrario in modo che il pubblico li legga, e a smanettare con la loop machine.
È questo che fa da sempre quando sta da sola in casa: mette le mani sul Triton, una music workstation, campiona pentole, posate, penne che scorrono, passi, e registra la sua voce nelle varie modulazioni possibili.
Tutto questo viene ricreato anche live ai suoi concerti. Lei ripropone suoni e poi crea melodie al momento insieme al pubblico, rendendolo così partecipe anche della sua fase creativa. La musica di Elisa, quindi, è in costante evoluzione e innovazione.
Afterhours & @amers - Non è per sempre
Mi sono iscritta al gioco principalmente perché volevo far conoscere gli Afterhours a trecentosessanta gradi e mettere in risalto alcune loro caratteristiche che a prima vista magari non vengono fuori. E per non associare solo ed esclusivamente Agnelli al gruppo.
Prima di iniziare avevo già deciso di voler prendere pezzi da ogni singolo disco ma i temi e le sensazioni che provo quando ascolto alcune canzoni hanno ribaltato ogni mia convinzione facendomi fare un percorso simile ma diverso a come l'avevo pensato.
In trentacinque anni la band si è evoluta più volte: passando dall'inglese all'italiano, dal rock alternativo al noise per finire nel pop più classico, modificando anche la scrittura e i temi trattati.
Se nei primi tre dischi, in lingua inglese, si rifacevano ai Television e ai Velvet Underground in Germi e Hai paura del buio? hanno gettato le basi del loro stile quasi facendone un marchio di fabbrica. Inizialmente avevo deciso di prendere un pezzo appunto dai primi due lavori nella loro lingua madre, sperimentali e innovativi anche per il panorama musicale dell'epoca, poi avevo pensato a un duetto fuori dalla loro comfort zone e anche a una cover.
Ma il problema principale era sempre uno: la mancanza di innovazione reciproca. E facendo tabula rasa ho deciso di partecipare con un pezzo dall'album che me li fece conoscere e amare perdutamente: Non è per sempre dal disco omonimo.
Era il 1999 e gli Afterhours decidono di sfornare il loro disco più pop in assoluto: suoni addolciti (l'entrata del violista Dario Ciffo in pianta stabile si sente in ogni singolo brano), testi meno criptici e più accessibili. Forse a un ascoltatore che non li conosce l'album può non sembrare innovativo ma per il gruppo fu un cambio importante, non si snaturarono ma cambiarono approccio rispetto al passato. Con HPDB avevano conquistato la critica e consolidato la fanbase storica mentre con Non è per sempre provavano ad arrivare anche a un'altra fetta di pubblico.
Non è il loro disco che preferisco, non è nemmeno il loro disco oggettivamente più riuscito ma è il disco che ritengo di svolta nella loro carriera e spesso penso che senza questo lavoro non sarebbero arrivati a essere più mainstream e sdoganare del tutto il cosiddetto indie rock e pop.
Infatti, nonostante Agnelli non ami la scena indie italiana è innegabile il suo apporto, magari involontario. Senza le sperimentazioni degli Afterhours forse non ci sarebbero dischi pop orientated Che cosa vedi? o progetti come Le luci della centrale elettrica. Uscirono dalla nicchia e Non è per sempre, dopo trentadue anni, non sfigurerebbe nelle playlist indie Italia.
Era il 1999 e io ascoltavo tutt'altra musica, era il periodo delle fissazioni degli Articolo31, Grignani, Dido ed Eminem. Quando uscì Non è per sempre e vidi il video per puro caso restai di stucco. Trovavo il tutto così freddo, musichetta pop (che da pseudo alternativa quale ero fingevo di non trovare interessante) e parole a caso, per settimane nel gruppo di amici di allora si sfotteva il pezzo, ignorando chi fossero questi Afterhours.
Poi passò alla radio e la registrai, in fondo quella canzoncina iniziava a piacermi. Consumai la cassetta, più ascoltavo e più mi innamoravo di quel timbro così svociato e aspro, le parole continuavano a sembrarmi strane e provavo a darne un senso, avevo la curiosità di scoprire chi fossero questi Afterhours.
Non avevo ancora Google a portata di mano per informarmi e fu il defunto Tutto Musica a venirmi in soccorso: lessi un articolo sul pezzo, analizzava parola per parola la canzone, facendomi capire meglio i riferimenti e iniziai a scoprire qualcosa in più di questi milanesi.
La loro innovazione con questo pezzo in realtà l'ho scoperta, e capita, solo dopo tanti anni, dopo aver conosciuto il loro bagaglio precedente. Musicalmente l'introduzione con il violino è una smorzata netta e totalmente diversa rispetto alle atmosfere ruvide e decise di Germi o 1996, il testo non è immediato ma l'assenza del cut up lo rende più fluido e meno oscuro.
La musica orecchiabile rende il ritornello quasi una cantilena, ti si appiccica addosso e non puoi farne a meno.
Ma tu rifiuti di ascoltare
Ogni segnale che ti può cambiare
Perché ti fa paura
Quello che succederà
Se poi ti senti uguale
Ho sempre pensato sia stata scritta per la generazione Y e che fosse dedicata agli stessi giovani su cui Agnelli voleva scatarrare due anni prima. Una canzone di rinascita prendeva il posto di canzoni con retrogusto amaro e incazzato, in Non è per sempre è palpabile una sorta di speranza, sempre in stile afterhoursiano, che mancava nei lavori precedenti.
Ma non c'è niente
Che sia per sempre
Perciò se è da un po'
Che stai così male
Il tuo diploma in fallimento
È una laurea per reagire
Nonostante la situazione non semplice e dolorosa, queste parole ci indicano la via, non esiste nulla per sempre, tutto può passare e le delusioni e i fallimenti ci possono, anzi ci devono, essere di insegnamento perché solo reagendo agli ostacoli della vita possiamo rialzarci dopo una caduta e continuare la nostra corsa.
E quel pezzo, poi quell'album, poi quella band, sono stati fondamentali per la mia innovazione. A livello musicale e personale.
Non ho smesso di ascoltare certi generi ma la scoperta degli Afterhours mi ha portato a voler approfondire altri gruppi simili e dare maggiore rilevanza all'amalgama tra testo e melodia.
E con Non è per sempre ho capito che la vita non va guardata passivamente, aspettando un treno in ritardo perenne, deve essere affrontata con sorriso e con decisione.
Nel 1999 ero poco più che adolescente, pensavo di poter conquistare il mondo e che tutto sarebbe stato facile. Una discesa senza nessuna curva. I fallimenti però non guardano in faccia nessuno, un pugno in pieno viso e uno allo stomaco e cadi senza nemmeno rendertene conto. Puoi quindi piangere e avere paura di reagire perché il cambiamento è un mostro che ti avvolge. Ma niente è per sempre, nemmeno quello.
Ho cercato di alzarmi dopo ogni caduta, con gli occhi pieni di lacrime ma in piedi e fiera. No, niente è per sempre questo è fondamentale. I fallimenti devono essere insegnamenti per un futuro migliore, quella laurea per reagire dovrebbe essere sempre davanti a noi.
In fondo tutti possiamo essere Bradbury, basta crederci.
The Beatles & @Iry8 - Strawberry Fields Forever
L’innovazione che sono stati i Beatles in campo musicale spiega in parte il loro successo su scala mondiale e il posto che ancora oggi mantengono nella storia della musica. Eppure, ciò che mi ha sempre colpito nella loro produzione è la straordinaria capacità che hanno avuto di rinnovare se stessi come artisti, come personaggi e come persone. E proprio su questo ho deciso di soffermarmi nel galà di oggi: su come i Beatles, a un certo punto della loro carriera, abbiano deciso di reinventarsi da capo a piedi, stupendo il loro pubblico ma conquistandolo nuovamente, me compresa.
Strawberry Fields Forever è, da questo punto di vista, una canzone programmatica che apre le danze a quello che sarà il celebre periodo psichedelico della band, mostrando al mondo una loro faccia radicalmente nuova. Il brano nasce da un periodo complicato per il gruppo, in cui iniziavano a non riconoscersi più in ciò che facevano: tour stancanti, concerti in cui le urla delle fan in delirio sovrastavano la loro musica, critiche e polemiche, e al contempo nuove esperienze (in particolare la cultura indiana per George e l’uso di LSD per John). Strawberry arriva come risposta a tutto questo e, come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, i Beatles si scrollarono di dosso i personaggi in cui iniziavano a stare stretti per rivelarsi come persone.
Non a caso, Strawberry Fields, prima di essere registrata come singolo, stava per essere inserita nell’album Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band, nella cui copertina possiamo vedere il contrasto tra i “nuovi” John, Ringo, Paul e George, centrali, con baffi, tagli di capelli diversi e vestiti dai colori sgargianti, e le loro immagini precedenti, laterali, in giacca e cravatta, tutti uguali e simili a tristi burattini.
Come dicevo, Strawberry Fields è la canzone che fa da apripista a questo cambiamento, e non a caso il suo inizio è tenue, sommesso, come un’atmosfera magica che inizia a formarsi attorno a noi, e le prime parole cantate dalla voce di John sono:
“Let me take you down,
‘cause I’m going to Strawberry Fields.
Nothing is real.
And nothing to get hung about,
Strawberry Fields forever”
(traduzione: Lascia che ti accompagni giù, perché sto andando a Strawberry Fields (“Campi di fragole”). Niente è reale. E niente di cui preoccuparsi. Strawberry Fields per sempre)
È John che ci tende la mano, e ci invita a seguirlo in questo nuovo cammino all’interno delle nostre menti, dove tutto è confuso, niente è definito. È come un mondo da esplorare: tutto attorno sentiamo suoni nuovi, strumenti particolari, tecniche diverse rispetto a quelle a cui la band ci ha abituati.
Il video cattura alla perfezione l’indefinitezza suscitata della canzone: non sono passati nemmeno due anni da quello in bianco e nero di We Can Work it Out, ma i Fab Four emanano proprio un’energia diversa. I loro movimenti rallentati e mandati al contrario, gli zoom sui loro volti, il passaggio repentino da giorno a notte, i colori versati sul pianoforte che poi cade a terra, la visione a raggi X: i Beatles vogliono rompere gli schemi, e anche visivamente tutto è sperimentale, mi trasmette la stessa sensazione di inquietudine, fascinazione e rilassatezza che ritrovo nel brano.
La canzone dura più di 4 minuti, superando la lunghezza di qualsiasi brano i Beatles avessero composto in precedenza, e anche questo mi sembra un dato significativo di rottura col passato: se fino ad allora i prodotti erano “perfetti” nella loro semplicità e brevità, dettata da un improvviso impulso giovanile, in Strawberry avverto un bisogno comunicativo che protrae la durata della canzone finché John si sente sicuro di aver tirato fuori ogni cosa. Questo, almeno, è ciò che percepisco in quell’inaspettata ripresa della melodia (a 3:35), come a voler spiazzare e avere l’ultima parola.
Infatti, se la musicalità è centrale nella canzone, le parole sono anch’esse nuove, e indicano proprio quel dissidio interiore del momento in cui la nuova identità comincia ad affiorare su quella precedente:
“Living is easy with eyes closed
Misunderstanding all you see.
It’s getting hard to be someone
but it all works out.
It doesn’t matter much to me”
(traduzione: Vivere è facile con gli occhi chiusi, fraintendendo tutto ciò che vedi. Sta diventando difficile essere qualcuno, ma si risolve tutto. Non me ne importa molto)
E poi c’è un continuo mettersi in discussione, una continua ritrattazione delle parole appena dette, un tentativo di attenuarle, come se John non ne fosse sicuro e cercasse subito di tornare indietro:
“No one I think is in my tree
I mean, it must be high or low
That is, you can’t, you know, tune in
but it’s all right
That is, I think it’s not too bad”
(traduzione: Nessuno, penso, è nel mio albero. Voglio dire, deve essere alto o basso. Cioè, non puoi, sai, sintonizzarti, ma va tutto bene. Cioè, penso non sia così male)
“Always, no sometimes, think it’s me
But you know I know when it’s a dream
I think I know I mean a yes
but it’s all wrong
That is I think I disagree”
(traduzione: Sempre, no, a volte, penso di essere io. Ma tu sai che io so quando è un sogno. Penso di sapere che voglio dire un “sì”, ma è tutto sbagliato. Cioè, penso di non essere d’accordo)
Un testo stranamente criptico, composto da frasi spezzate e incerte che contrastano con il tono deciso e sicuro del ritornello. E, ancora una volta, sembra che mi stia parlando e che stia riflettendo la mia personale visione del cambiamento come processo sofferto, pieno di ripensamenti e mille ansie. Le innovazioni mi piacciono, ma sono il cambiamento e il lasciar andare il passato a spaventarmi.
Vivo nello stesso modo anche il mutamento nei Beatles: sono talmente affezionata ai primi album che vederli così “cambiati” fa affiorare in me una punta di tristezza, consapevole anche del fatto che le diverse influenze che iniziano a emergere qui saranno le stesse che poi li porteranno a prendere strade diverse, a porre quella parola “fine” da cui io fuggo. Ma, d’altra parte, sentire quel “Let me take you down ‘cause I’m going to Strawberry Fields” riesce a farmi sorridere di nuovo, prendere la mano di John e correre con loro nel campo di fragole, emozionata di fronte a un loro futuro in cui sono sì diversi, ma pur sempre parte di me.
Inoltre, per rassicurarmi, i miei Fab Four coniugano tutte le innovazioni presenti in Strawberry Fields Forever con un’altra innovazione che è in realtà uno sguardo rivolto al passato: lo Strawberry Fields di cui si parla è un posto reale, un orfanotrofio vicino a casa di John dove lui andava spesso a giocare da bambino. A fronte di una prima metà di carriera in cui i riferimenti personali erano praticamente inesistenti, partendo da questa canzone i Beatles cominceranno a parlare di sé e della loro sfera privata, mostrandomi che a volte rinnovarsi non è rinnegare se stessi, ma riscoprirsi.
Dolores O'Riordan (The Cranberries) & @Scio16 - Black Widow
Voglio provare a contestualizzare questa scelta e un po' tutto il mio percorso facendo coming out: non sono il tipo di fan che osanna a prescindere il proprio idolo. Anzi, avendo fatto anche la parte del “tecnico” per un breve periodo, più approfondisco un artista, più tendo ad accorgermi dei suoi (fisiologici) limiti. Il punto è che i The Cranberries, per me, non hanno nulla che sia decisamente innovativo.
Cerco di spiegarmi meglio.
Quando mi sono appassionato a loro, erano già il passato, la nostalgia per un’epoca che, praticamente, non avevo vissuto. Non cercavo innovazione. Anzi, quello che cercavo era proprio una pausa dalla continua ricerca tutta adolescenziale di nuove emozioni, del mai visto/mai ascoltato prima. Loro sono stati il mio safe space, la casa a cui tornare quando avevo bisogno di affetto, di qualcuno che mi capisse a fondo senza giudicarmi; tutto questo senza dovermi per forza portare un messaggio o un suono che fosse nuovo o carico di divina arte.
Sono diventati noti con Linger e Dreams, due splendidi brani sentimentali e malinconici, ma che se vengono presi da soli non hanno guizzi particolari, specie nel panorama musicale di quegli anni. Poi venne Zombie, la loro fortuna più luminosa e, allo stesso tempo, la loro più grande rovina. Tutti conoscono i mirtilli di Limerick per questo brano. Troppe volte, per fare capire di chi parlassi, ho dovuto definire Dolores "quella di Zombie", che puntualmente era seguito da un "Ahhh potevi dirlo subito!".
A little reductive, tanto più che quel pezzo così ispirato, potente, diretto nella sua narrazione contro le violenze perpetrate in Irlanda del Nord, non era particolarmente innovativo, era solo molto originale in quella magnetica schitarrata distorta e nella ripetizione ossessiva di un testo potentissimo, ma davvero ridotto all’osso.
Da quel momento in poi, i The Cranberries hanno iniziato una parabola discendente, volta alla ricerca frenetica di una nuova Zombie (o, più genericamente, di un nuovo No Need To Argue) che si ritrova in moltissimi degli stilemi testuali e musicali che troviamo nei lavori successivi, come Hollywood, la stessa Promises, fino ad arrivare ad una Schizophrenic Playboy, contenuta nel loro ultimo album Roses, del 2012. Sì, passati 20 anni i Cran continuavano ancora con la stessa - meravigliosa - solfa, in un rincorrersi di deja-vu e autocitazionismi (che definirei a volte autoplagi) più o meno espliciti. Non un duetto, non un remix ufficiale. Nada de nada.
Alla luce di questo, è facile capire perché ho sinceramente odiato questo tema, che ha messo in evidenza una "pecca" dei The Cranberries che forse non avevo mai neanche razionalizzato così bene.
Poi, però, ci ho riflettuto e ho capito: i The Cranberries l'innovazione l'avevano già portata, solo che non risiedeva in sonorità azzardate né in poetiche nuove. Semplicemente, l'innovazione era Dolores.
Parliamo di un gruppo rock irlandese con una leader donna, che canta con una voce dalla grana inconfondibile e ricca di manierismi che sono diventati iconici, come l'accento peculiare, i sospiri, il repentino passaggio da voce di petto a voce di testa. La stessa vocalità riesce a passare con agilità dall’essere angelica e cullante in brani come Linger, allo scuoterci le viscere con la potenza di una Zombie.
Sì tratta di una voce e di una personalità che hanno reso i The Cranberries qualcosa di nuovo e unico nel panorama musicale mondiale.
È per questo che, per cercare di trasmettere il concetto di "innovazione", alla fine ho scelto un brano del suo percorso solista, così da evidenziare al meglio quella caratteristica che ha reso i Cranberries speciali per le mie orecchie, e tradurla quanto più possibile in una canzone che possa dare l'idea di innovazione, rispetto al repertorio passato della band.
Il brano si chiama Black Widow.
Al contrario dei fan, che si crogiolavano in quell'eterno ritorno dell'uguale, la frustrazione di essere relegata a icona degli anni ‘90 che canta “Eh eh oah oah oah” spinse Dolores a compiere il suo tentativo d’innovazione: lasciò il gruppo e iniziò a camminare da sola. Nonostante sia stata sempre lei a scrivere e comporre i brani dei Cran (insieme a Noel), ora era finalmente libera di scrollarsi di dosso la polvere del passato. E’ in questo contesto che compone Black Widow, inserendola nel suo primo album solista Are you listening? del 2007, quello che ha rappresentato il mio primo vero passo alla scoperta dei The Cranberries.
Sin dal primo ascolto, il brano fece crollare improvvisamente attorno a me la dimensione ovattata e tutta concettuale che avevo dato ai Cranberries, trasportandomi in una dimensione quasi gotica, un'atmosfera scandita dai suoni aspri, decisi ed incalzanti di un pianoforte che (nota per i più nerd) mi ha sempre ricordato moltissimo l'atmosfera onirica e inquietante creata dal clavicembalo del castello di Artemisia di Final Fantasy VIII, il mio videogioco preferito.
Lo strumento, che costituisce da solo gran parte dell’accompagnamento del brano, non è mai stato usato dalla band in maniera così estensiva e limpida, senza effetti e distorsioni. La chitarra acustica, onnipresente nella precedente produzione artistica, non è neppure accennata.
Verso metà brano, entrano i chitarroni elettrici e il tutto assume per un attimo connotazioni ansiogene ed estremamente drammatiche, con sonorità che ricordano il metal. Addirittura, ad un certo punto fa incursione un mezzo growl, wtf.
Ciò che viene fuori è più di un semplice brano musicale, mi ha sempre fatto pensare ad un musical o ad una colonna sonora, capace di evocare in maniera vivida le emozioni giuste (stavolta l'angoscia rientra totalmente nei piani) ma anche le immagini descritte.
L’innovazione rispetto alla produzione classica dei Cran è anche nel testo: via i concettoni, la filosofia, l’amore, il tradimento, la rabbia o le buone intenzioni. I testi non usano più un linguaggio vago che si piega a mille interpretazioni. Le parole si fanno chiare e decise nella descrizione di quella condizione esistenziale.
La vedova nera è il cancro, che lei ha avuto modo di affrontare dall’esterno vivendo gli ultimi giorni di sua suocera. Il tutto si gioca sull’ambivalenza di una “she” (la persona malata) e the black widow, la vedova nera.
Nella prima strofa c’è la donna, nella profonda solitudine di una prova che può affrontare solo con se stessa, intenta a cercare un "posto" che le sia di sollievo.
Finding solace
Finding solace somewhere
Seeking comfort
Seeking comfort somewhere
Nella seconda è la vedova nera la protagonista, che aspetta in un angolo - interiore - il momento giusto per avvinghiarsi alla sua preda (definita però "il suo amante") e dare vita ad un infinito abbraccio mortale. La vedova nera piange, come se sapesse di essere spregevole, ma non possa fare a meno di eseguire ciò che il suo DNA comanda.
The black widow
Waiting for her lover
The black widow
Crying in her bedroom
Per rappresentare i concetti più forti, Dolores sceglie di non affidarsi più a grandi giri di parole.
And she dies, and she dies
Feeling lonely
She is lonely
“Quando ho scritto Black Widow era la prima volta che provavo a sperimentare con la musica dark. Ho sempre giocato con l’aggressività, la felicità, la tristezza, ma mai con l’oscurità”. Anche Dolores, in questa intervista al Telegraph del 2007, sottolineava quanto per lei fosse diverso questo nuovo approccio alla musica e quanto questo pezzo incarnasse la sua idea di sperimentazione.
Devo ammettere che, fin dal primo ascolto, questo pezzo mi ha aperto un mondo, fornendomi uno sguardo più acuto e distaccato sulle cose, una spinta verso una diversa processazione del dolore che non deve per forza avvenire nella via tradizionale del grido disperato di Zombie, ma che può trovare la propria forza anche rimanendo lucidi e attenti spettatori. Anzi, questo è forse l’unico modo di empatizzare totalmente senza lasciarsi trascinare da giudizi, riletture personali o dalla propria emotività. Solo che, mentre prima questa era solo un'idea affascinante, oggi che mi trovo a raccontarvi questo brano mi rendo conto che è diventato un po' parte di quello che sono.
Se per i brani giocati precedentemente ho dovuto aggrapparmi a ricordi di sensazioni, qui mi trovo a fare un'analisi di quello che sono oggi. Mi rivedo tantissimo in questo tipo di approccio più pragmatico e distaccato, molto più che in quello raccontato in Linger e co. Se lì ho dato voce al Francesco passato, questo brano ritrae il me di oggi e forse, ancora meglio, il me di domani. Mi rendo conto di sembrare spesso cinico, quasi insensibile, come chi guarda impassibile la vedova nera che divora il suo amante, anche se dentro mi sento estremamente sensibile, molto più empatico di prima. Semplicemente, cerco di guardare le esperienze di vita altrui con meno impeto, con meno sovrastrutture, mettendo da parte quanto più possibile il giudizio. Lo trovo un atteggiamento migliore, nonostante rischi di essere meno compreso e condiviso, tanto da avere la perenne sensazione di dover tornare ciò che ero prima per essere ancora apprezzato.
Probabilmente, anche per Dolores è bastato crescere e vivere la sofferenza sulla propria pelle per cambiare il proprio approccio prima alla vita e poi alla musica, per poi cercare disperatamente di tornare a qualcosa che non c’era più (i vecchi e rassicuranti The Cranberries) sconsolata dall’accoglienza tiepida del pubblico nei confronti di questo progetto.
Non so se questo processo si possa chiamare “innovazione”. Sicuramente è stato un rinnovamento e, alla luce delle riflessioni che Black Widow mi sta ispirando oggi, lo abbiamo vissuto entrambi.
Utente
7 agosto, 2013
My Favorite Singer - Gala 6
London Grammar & @Alabama Monroe - Californian Soil
California Soil segue lo stile caratteristico dei London Grammar, ma con nuovi sapori, più freschi, sensuali, ammalianti. L’intero brano è attraversato da una linea di suoni ripetuti costantemente quasi a voler creare una sorta di ipnosi e trasmettere sensazioni di mistero nell’ascoltatore.
Tra i pezzi della band trovo che Californian Soil sia innovativo, in quanto, oltre ad avere un sound differente, è la canzone-simbolo di un album che affronterà un tema da loro mai toccato prima: ritrovare sé stessi, avere una presa di potere della propria vita, perdersi nel caos ed uscirne indenni. Il caos di un mondo in cui ci si sente inferiori e oppressi solo perché si è se stessi.
In questo caso un mondo misogino, in cui Hannah si è sentita inferiore e giudicata solo perché donna. Tanti sono stati i commenti nei suoi confronti da parte di uomini che hanno giudicato il suo essere senza soffermarsi sulla sua vera essenza. Hollywood (e la California citata nel brano) ha una grande tradizione di sessismo nei confronti di attrici o cantanti. Lungo è l’elenco di espressioni misogine con cui le donne vengono presentate o cercate, ad esempio, nelle sceneggiature o in certi annunci.
Hannah col tempo ha saputo farsi forza e, grazie anche ai suoi compagni Dan e Dot, è riuscita ad affermarsi e ad essere una front woman di un gruppo.
Caparezza & @AbiuraDiMe - Sono il tuo sogno eretico
Il brano che ho scelto di portare per questo gala è Sono il tuo sogno eretico, tratto dall'omonimo album del 2011. È un brano al quale sono particolarmente legata perché permette di mettere in luce alcuni punti di forza di Caparezza che lo rendono un artista unico nel panorama musicale, ma anche perché mi ha dato l’input per poter approfondire questo artista ed entrare nel suo coloratissimo mondo.
Era il 2012 quando ho sentito per la prima volta questo pezzo. Ricordo che stavo ascoltando distrattamente il concerto del primo maggio in tv, quando una musica tipica delle ballate medievali catturò la mia attenzione. Chi era quel pazzo che portava una cosa simile sul palco del primo maggio? Caparezza naturalmente!
Incuriosita da quella melodia fuori dal tempo, sopra la quale qualcuno non stava cantando bensì sparando come una mitraglia una miriade di concetti, decisi di prestare attenzione alle parole.
Testo (e wikipedia) alla mano riuscii a ricostruire il racconto del brano: tre personaggi, Giovanna D’Arco, Savonarola e Giordano Bruno, eretici perseguitati a causa dei loro pensieri e morti sul rogo, prendevano vita attraverso le parole e la voce di Caparezza per narrare le loro vicissitudini. E accompagnati da un tappeto musicale dai toni folk e dal suono delle fiamme che ardono, esprimevano i loro concetti con un flow cadenzato quasi come fossero tre MC in una rap battle di tempi antichi.
Il racconto dei personaggi è fortemente evocativo e allusivo ed è un pretesto per Caparezza per toccare altri argomenti.
Sono una donna e sono una santa / sono una santa donna e basta / Sono stata una casta vincente / prima che fosse vincente la casta
Così, la metafore di Giovanna D’Arco diventa una condanna contro l’atteggiamento di ostracismo nei confronti di chi esprime il proprio pensiero andando con forza contro la massa.
Detesto i potenti della città / Detesto Sua Santità / un uomo carico d’avidità/ che vende cariche come babbà
Le parole di Savonarola sono un’opportunità per esprimere, in maniera neanche troppo velata, una critica nei confronti della chiesa.
Nella cella reietto perché tra fede e intelletto / ho scelto il suddetto / Dio mi ha dato un cervello / se non lo usassi gli mancherei di rispetto
Ed infine anche il racconto di Giordano Bruno è un monito contro l'atteggiamento di censura ed un invito ad esprimere sempre il proprio pensiero e a ragionare con la propria testa senza farsi influenzare.
Michele riesce ad essere molto empatico nei confronti dei tre eretici, essendo stato lui stesso spesso visto come un “eretico del rap” per il suo modo inusuale di farne uso.
Caparezza infatti si serve del rap, ma non può definirsi rapper nel senso più stretto del termine.
Nei primissimi demo e album si può trovare qualche spunto riconducibile alla cultura hip hop, ma negli anni la definizione di “rapper” ha iniziato a stargli stretta e ne ha preso sempre più le distanze.
Il motivo è che lui ha poco a che fare con questa cultura, in una canzone dell’album successivo candidamente afferma “E non parlo di ghetto perché io vengo dalla terra di Banfi. Se parlassi di ghetto tu capiresti l'animaletto coi baffi”.
Dunque, pur continuando ad usare lo stilema del rap, con il tempo il suo è diventato un genere sempre più personale ed unico.
Spesso, a differenza del classico rap che è un flusso di coscienza intimo e personale, Caparezza riesce ad astrarsi e ad entrare nei panni di personaggi diversi ai quali desidera dar voce. E se con la penna riesce a fargli prendere vita e a dargli carattere, con la parte musicale riesce cucire addosso a questi personaggi le ambientazioni che più gli si addicono.
Ed è questo ciò che accade in Sono il tuo sogno eretico.
Caparezza si fa da parte per dar voce a chi pensa non ne abbia avuta abbastanza in vita, per fornire a queste persone un riscatto, una rivincita o semplicemente per dargli una possibilità di appello.
La melodia ricca di strumenti e di suoni poco riconducibili ad un tipico brano di genere rap è un suo marchio di fabbrica. Nelle sue canzoni, infatti, Michele è solito mescolare sound rap e sonorità rock, lasciando ampio spazio alle chitarre, alla batteria e alle tastiere.
Mentre gli echi medievali utilizzati in questa canzone per ricreare un’atmosfera più realistica, da moderno menestrello, costituiscono un unicum nella sua discografia.
Prima di scoprire questa canzone avevo sempre associato l’arte del cantastorie a quella del cantautore.
Cantastorie per eccellenza, per me, è sempre stato De André che con la sua voce profonda e calma è in grado di dipingere dei veri e propri quadri in musica e di raccontare le varie sfaccettature dell’animo umano, rappresentando senza filtri le verità dei suo anni.
Non avrei mai pensato che l’arte di raccontare storie in musica potesse essere interpretata in modo diverso, con l’energia dirompente del rap, un genere che mi aveva sempre affascinato per il modo creativo di giocare con le parole ma che fino ad allora non mi aveva mai coinvolto più di tanto perché trattava di argomenti lontani dal mio modo di essere.
Michele, dunque, ha anche avuto il merito di aver aperto un enorme varco e di aver scardinato tutti i pregiudizi che avevo. Mi ha permesso di appassionarmi ad un tipo di canzoni che hanno come elemento principale le parole, tante parole e che sono quasi come dei giochi da risolvere e da scoprire pian piano.
E così, accanto ai personaggi di Faber, dipinti con estrema grazia e delicatezza, ho aggiunto i personaggi di Michele che dipinge i suoi personaggi con un mezzo, il rap, generalmente usato per tutt’altri intenti, in un modo del tutto inusuale, carico di energia e di forza.
My Indigo (Within Temptation) & @edorf - Someone like You
Dopo la fine del Hydra Tour nel 2015 Sharon si ritrovò esausta e visse un periodo di blocco artistico. Nello stesso periodo il padre iniziò la chemio terapia: per lei in quel momento era inimmaginabile scrivere dei testi adatti alla proposta musicale della sua band, espressioni di forza, resilienza e utili per sconfiggere le avversità, quando lei stava attraversando un periodo dove si sentiva invece particolarmente fragile e vulnerabile.
Aveva bisogno di trovare un suo nuovo equilibrio, di ricentrarsi, in qualche modo sentiva l'esigenza di evolversi e innovandosi, di cambiare. Proseguendo con la produzione, brano dopo brano, si rese conto che il risultato era armonioso ma davvero troppo personale e diversificato da quanto finora proposto e che la giusta collocazione per quei brani era di unirli tutti in un CD, “My Indigo”, che è anche il nome del suo progetto parallelo.
La creazione di “My Indigo” per Sharon è stata una tappa fondamentale per potersi rinnovare. Quando Sharon disse agli altri membri dei WT di questa sua necessità, tutti si dimostrarono comprensivi e solidali. Non solo, il chitarrista Ruud le disse che si sarebbe immaginato di questo suo bisogno artistico e creativo già dopo la registrazione del mega evento tenuto a Java nel 2005, contenuto nel DVD “The Silent Force Tour”, durante il quale Sharon era incinta della prima figlia, Eva Luna.
Utilizzò la musica come una terapia. Si servì del colore per esprimere le emozioni e particolari stati d'animo, come fece anche in passato ad esempio in “Silver Moonlight” dei WT “Too many shades of grey, I cannot breathe”, e l'indaco rappresenta il colore di quel preciso frangente, un periodo di profonda riflessione che le portò nuova consapevolezza: quando lo annunciò a novembre 2017, disse che proprio grazie a questo processo creativo ritrovò le forze anche per riprendere in mano i Within Temptation e che da lì, a breve, avrebbero annunciato novità a riguardo.
“For many years we’ve been touring and everytime we came home I used to start writing songs almost immediately and was happy to do so. After the last tour I tried to do the same but it wasn’t the same. Eventually I found myself in a crisis which was bigger than just not being able to write songs. The years of touring and working under a certain pressure took its toll and besides that there were things in my personal life I had to deal with.
I really took time off, but when I started writing again it was something totally different than WT, but this was what I needed and I embraced it. Besides all of this I’m happy to tell you that my journey has led me back to Within Temptation. There will be a new album and a tour but more about that in the near future."
“Someone Like You”, non è una cover del celebre brano di Adele, ma è uno dei dieci inediti che compongono “My Indigo”. Sharon non ha mai negato di essere una fan di Bob Marley e finalmente lo ha potuto mostrare introducendo delle influenze reggae all'interno del pezzo.
Il testo è una riflessione sul periodo che stava attraversando e sui suoi ultimi vent'anni di vita.
La prima strofa si riferisce al rovescio della medaglia di essere leader di una band di successo come i WT. Gli ultimi 20 anni della sua vita li ha trascorsi tra un tour e l'altro e appena finiva un tour si gettava immediatamente nella scrittura del CD successivo.
Ivy growing up on the bleeding walls
Every leaf a breath of the story
Autumn and they all fall down
Now I’m seeing clearly how
Heavy is our glory
Il preritornello parla dei suoi sogni da ragazzina adolescente di fare la cantante e si accorge che tuttora ha ancora quel sogno.
Because I won't find it
There's no one quite like you
And I still hold on, entangled in your roots
Just like I was fifteen summers young
And I closed my eyes, I knew you’d come
As I imagined someone like, someone like... like you
Nel ritornello ripete semplicemente “Someone like, someone like... someone like you” diverse volte perchè fondamentalmente lei identifica i Within Temptation con la figura di Robert, suo compagno e fondatore della band con lei perchè la relazione con lui va di pari passo con quella della band.
Nella seconda strofa parla del periodo di smarrimento interiore che ha vissuto quando ha avuto per la prima volta un blocco creativo e la paura che esso fosse permanente perchè durante quel momento andò in crisi esistenziale. Una crisi nella quale pensò insistentemente a cosa sarà del futuro, a cosa sarà della sua vita vedendo tutto quello che ha sognato, e ha lottato per averlo, tramutarsi in sabbia, sentendosi estremamente fragile e vuota.
So tell me where the nomad wanders on
Is it in a world untravelled?
Is it where the music plays?
Filling up the empty space
It's where you left me fragile
Il brano è totalmente differente da ciò che ha pubblicato con i Within Temptation, non ha un crescendo emotivo, l'interpretazione è sentita, ma non è teatrale, non è drammatica.
Mi sono sempre immaginato un video per questo brano, Sharon con un kaftano a piedi nudi sulla spiaggia e, piano piano, si aggregano a lei, Robert con i tre figli, i vari membri del progetto “My Indigo”, i vari componenti dei WT che si sono susseguiti durante gli anni con relative famiglie, con i quali sono rimasti con tutti in ottimi rapporti, Daniel Gibson, produttore e coautore nei WT dai tempi di “The Silent Force” e ovviamente anche nei “My Indigo”, la madre e tanti altri.
Sharon quando ha vissuto questo periodo aveva dieci anni in più di me e io, tra dieci anni, vorrei potermi voltare indietro e guardare il futuro con la stessa consapevolezza e serenità con la quale Sharon canta “Someone Like You”. Non vorrei rivivere un periodo di smarrimento interiore come quello che ho appena passato, proprio Giovedì scorso dicevo alla mia psicoterapeuta “mi pare di essere rimasto qui a casa con i miei genitori con un pugno di mosche in mano” mentre io tra dieci anni vorrei avere un lavoro soddisfacente, una persona al mio fianco che mi ami e con cui costruire una famiglia. E soprattutto con la quale poter cantare un giorno:
I knew you’d come
As I imagined someone like you
Elisa & @semota - Seven Times
Elisa segue la musica che la ispira e in ogni suo lavoro troviamo delle sfaccettature diverse che seguono le fasi della sua vita e della sua anima. Per questo penso che ci siano vari momenti di innovazione nella sua carriera. Ho scelto di parlarvi della fase che riguarda il suo secondo album.
Nella primavera del ‘99 inizia un periodo difficile. Il lavoro va bene ma le piomba addosso la pena d’amore più grande che abbia mai conosciuto e la band si sgretola (il ragazzo era il suo batterista). Non esce volentieri, non parla volentieri, non vive volentieri. La depressione le succhia via dieci chili. Per lei sarebbe il momento di fare qualche sregolatezza invece lei sceglie la musica “Avevo elementi che potevano portarmi in direzione autodistruzione, ma non sono molto coraggiosa, me la faccio addosso a pensare di seguire quella natura, che pure in parte ho. Gli eccessi hanno un costo, mi fanno paura, il mio senso di responsabilità è troppo forte e davanti alle persone dissipate e geniali divento materna, una chioccia, non una concubina cosmica. Ho scelto la musica come via d’uscita, sperando di evitare comunque la mediocrità. È stata l’acqua e il cibo della mia anima.”
La situazione in quel periodo è però insostenibile in Italia. La soluzione è partire e la prima meta è Londra. Elisa straborda di idee, stende trenta brani e parlano di lei. Ma le manca il produttore e gira per dieci mesi tra gli studi di mezza Europa. La direzione musicale sfugge ed è incerta come il titolo del nuovo album: prima Rambling Bomb, poi Lisert e infine semplicemente Asile’s World, il mondo di Elisa capovolto.
“Non capivo come rapportarmi al disco. Avevo scritto testi così forti che quasi mi disturbava cantarli. Ero veramente al limite. Lentamente sono uscita dalla palude e sono ripartita. È il lavoro più sofferto che ho realizzato, tra i miei preferiti per profondità e purezza. Era diverso da tutto quello che avevo fatto fin ad allora. Non tanto per arrangiamenti ma per composizione. L’animo era cambiato ed erano i brani stessi a suggerire l’uso dell’elettronica. Erano dei veri outsider.”.
L’innovazione che voglio portare di Elisa a livello musicale e della sua discografia è proprio l’elettronica che segna uno stacco con l’album precedente e che Elisa riproporrà anche in lavori successivi.
A livello personale porto la fase di Elisa più buia probabilmente, che stacca molto dalla visione che tutti avevano di lei di persona aulica e un po’ fatata. E lo si percepisce subito dal titolo del disco. Quando l’ho visto ne rimasi subito affascinata perché quel nome capovolto lasciava intendere che ascoltando le canzoni si sarebbe potuti entrare in un mondo diverso, in un mondo ancora sconosciuto agli ascoltatori ma allo stesso tempo un mondo che un po’ mi preoccupava avendo amato l’Elisa del primo album e non sapevo se ero pronta ad un’Elisa diversa e più cupa. Ma con sorpresa poi mi piaceva anche di più sia in suoni che in atmosfere. L’ho sentita ancora più vicina. Quando ho letto la storia dietro l’album mi ci sono legata ancora di più perché fa parte di una fase che mi ha accompagnato a livello personale per molto tempo.
In Asile’s World confluiscono brani catartici e io ho scelto Seven Times che è il tentativo di liberazione da odio e amore attraverso il numero magico sette.
Sette come i bracci della Menorah, il numero buddhista della completezza, i giorni della creazione, le colonne su cui poggia il mondo del Corano, le meraviglie della terra, i vizi capitali, i colori dell’arcobaleno, le note musicali, i chakra, i cieli che si toccano con la felicità, il numero da ripetere settanta volte per perdonare.
Il pezzo descrive anche molto bene la fase negativa di Elisa che l’ha portata poi a innovarsi personalmente anche se c’è voluto del tempo.
"What are you planning for this body
You're still cruel and you're spiteful mind
But you'll not catch me this time
'Cause I'm just looking for the sun
And it takes time (I swear I'll be patient)"
"Cosa stai progettando per questo corpo
Sei ancora crudele e la tua mente dispettosa
Ma non mi prenderai questa volta
Perché sto solo cercando il sole
E ci vuole tempo (giuro che sarò paziente)"
La ripetizione di suoni e delle parole “love” e “hate” in un effetto loop rende l’atmosfera angosciante.
E all'esplorazione dell'angoscia legherà anche un progetto che realizzerà a Torino, un live sulla solitudine domestica intitolato Home, una performance che la vede chiusa dentro ad una stanza di plexiglass, a scrivere con la vernice bianca sulle pareti i titoli delle canzoni al contrario in modo che il pubblico li legga, e a smanettare con la loop machine.
È questo che fa da sempre quando sta da sola in casa: mette le mani sul Triton, una music workstation, campiona pentole, posate, penne che scorrono, passi, e registra la sua voce nelle varie modulazioni possibili.
Tutto questo viene ricreato anche live ai suoi concerti. Lei ripropone suoni e poi crea melodie al momento insieme al pubblico, rendendolo così partecipe anche della sua fase creativa. La musica di Elisa, quindi, è in costante evoluzione e innovazione.
Afterhours & @amers - Non è per sempre
Mi sono iscritta al gioco principalmente perché volevo far conoscere gli Afterhours a trecentosessanta gradi e mettere in risalto alcune loro caratteristiche che a prima vista magari non vengono fuori. E per non associare solo ed esclusivamente Agnelli al gruppo.
Prima di iniziare avevo già deciso di voler prendere pezzi da ogni singolo disco ma i temi e le sensazioni che provo quando ascolto alcune canzoni hanno ribaltato ogni mia convinzione facendomi fare un percorso simile ma diverso a come l'avevo pensato.
In trentacinque anni la band si è evoluta più volte: passando dall'inglese all'italiano, dal rock alternativo al noise per finire nel pop più classico, modificando anche la scrittura e i temi trattati.
Se nei primi tre dischi, in lingua inglese, si rifacevano ai Television e ai Velvet Underground in Germi e Hai paura del buio? hanno gettato le basi del loro stile quasi facendone un marchio di fabbrica. Inizialmente avevo deciso di prendere un pezzo appunto dai primi due lavori nella loro lingua madre, sperimentali e innovativi anche per il panorama musicale dell'epoca, poi avevo pensato a un duetto fuori dalla loro comfort zone e anche a una cover.
Ma il problema principale era sempre uno: la mancanza di innovazione reciproca. E facendo tabula rasa ho deciso di partecipare con un pezzo dall'album che me li fece conoscere e amare perdutamente: Non è per sempre dal disco omonimo.
Era il 1999 e gli Afterhours decidono di sfornare il loro disco più pop in assoluto: suoni addolciti (l'entrata del violista Dario Ciffo in pianta stabile si sente in ogni singolo brano), testi meno criptici e più accessibili. Forse a un ascoltatore che non li conosce l'album può non sembrare innovativo ma per il gruppo fu un cambio importante, non si snaturarono ma cambiarono approccio rispetto al passato. Con HPDB avevano conquistato la critica e consolidato la fanbase storica mentre con Non è per sempre provavano ad arrivare anche a un'altra fetta di pubblico.
Non è il loro disco che preferisco, non è nemmeno il loro disco oggettivamente più riuscito ma è il disco che ritengo di svolta nella loro carriera e spesso penso che senza questo lavoro non sarebbero arrivati a essere più mainstream e sdoganare del tutto il cosiddetto indie rock e pop.
Infatti, nonostante Agnelli non ami la scena indie italiana è innegabile il suo apporto, magari involontario. Senza le sperimentazioni degli Afterhours forse non ci sarebbero dischi pop orientated Che cosa vedi? o progetti come Le luci della centrale elettrica. Uscirono dalla nicchia e Non è per sempre, dopo trentadue anni, non sfigurerebbe nelle playlist indie Italia.
Era il 1999 e io ascoltavo tutt'altra musica, era il periodo delle fissazioni degli Articolo31, Grignani, Dido ed Eminem. Quando uscì Non è per sempre e vidi il video per puro caso restai di stucco. Trovavo il tutto così freddo, musichetta pop (che da pseudo alternativa quale ero fingevo di non trovare interessante) e parole a caso, per settimane nel gruppo di amici di allora si sfotteva il pezzo, ignorando chi fossero questi Afterhours.
Poi passò alla radio e la registrai, in fondo quella canzoncina iniziava a piacermi. Consumai la cassetta, più ascoltavo e più mi innamoravo di quel timbro così svociato e aspro, le parole continuavano a sembrarmi strane e provavo a darne un senso, avevo la curiosità di scoprire chi fossero questi Afterhours.
Non avevo ancora Google a portata di mano per informarmi e fu il defunto Tutto Musica a venirmi in soccorso: lessi un articolo sul pezzo, analizzava parola per parola la canzone, facendomi capire meglio i riferimenti e iniziai a scoprire qualcosa in più di questi milanesi.
La loro innovazione con questo pezzo in realtà l'ho scoperta, e capita, solo dopo tanti anni, dopo aver conosciuto il loro bagaglio precedente. Musicalmente l'introduzione con il violino è una smorzata netta e totalmente diversa rispetto alle atmosfere ruvide e decise di Germi o 1996, il testo non è immediato ma l'assenza del cut up lo rende più fluido e meno oscuro.
La musica orecchiabile rende il ritornello quasi una cantilena, ti si appiccica addosso e non puoi farne a meno.
Ma tu rifiuti di ascoltare
Ogni segnale che ti può cambiare
Perché ti fa paura
Quello che succederà
Se poi ti senti uguale
Ho sempre pensato sia stata scritta per la generazione Y e che fosse dedicata agli stessi giovani su cui Agnelli voleva scatarrare due anni prima. Una canzone di rinascita prendeva il posto di canzoni con retrogusto amaro e incazzato, in Non è per sempre è palpabile una sorta di speranza, sempre in stile afterhoursiano, che mancava nei lavori precedenti.
Ma non c'è niente
Che sia per sempre
Perciò se è da un po'
Che stai così male
Il tuo diploma in fallimento
È una laurea per reagire
Nonostante la situazione non semplice e dolorosa, queste parole ci indicano la via, non esiste nulla per sempre, tutto può passare e le delusioni e i fallimenti ci possono, anzi ci devono, essere di insegnamento perché solo reagendo agli ostacoli della vita possiamo rialzarci dopo una caduta e continuare la nostra corsa.
E quel pezzo, poi quell'album, poi quella band, sono stati fondamentali per la mia innovazione. A livello musicale e personale.
Non ho smesso di ascoltare certi generi ma la scoperta degli Afterhours mi ha portato a voler approfondire altri gruppi simili e dare maggiore rilevanza all'amalgama tra testo e melodia.
E con Non è per sempre ho capito che la vita non va guardata passivamente, aspettando un treno in ritardo perenne, deve essere affrontata con sorriso e con decisione.
Nel 1999 ero poco più che adolescente, pensavo di poter conquistare il mondo e che tutto sarebbe stato facile. Una discesa senza nessuna curva. I fallimenti però non guardano in faccia nessuno, un pugno in pieno viso e uno allo stomaco e cadi senza nemmeno rendertene conto. Puoi quindi piangere e avere paura di reagire perché il cambiamento è un mostro che ti avvolge. Ma niente è per sempre, nemmeno quello.
Ho cercato di alzarmi dopo ogni caduta, con gli occhi pieni di lacrime ma in piedi e fiera. No, niente è per sempre questo è fondamentale. I fallimenti devono essere insegnamenti per un futuro migliore, quella laurea per reagire dovrebbe essere sempre davanti a noi.
In fondo tutti possiamo essere Bradbury, basta crederci.
The Beatles & @Iry8 - Strawberry Fields Forever
L’innovazione che sono stati i Beatles in campo musicale spiega in parte il loro successo su scala mondiale e il posto che ancora oggi mantengono nella storia della musica. Eppure, ciò che mi ha sempre colpito nella loro produzione è la straordinaria capacità che hanno avuto di rinnovare se stessi come artisti, come personaggi e come persone. E proprio su questo ho deciso di soffermarmi nel galà di oggi: su come i Beatles, a un certo punto della loro carriera, abbiano deciso di reinventarsi da capo a piedi, stupendo il loro pubblico ma conquistandolo nuovamente, me compresa.
Strawberry Fields Forever è, da questo punto di vista, una canzone programmatica che apre le danze a quello che sarà il celebre periodo psichedelico della band, mostrando al mondo una loro faccia radicalmente nuova. Il brano nasce da un periodo complicato per il gruppo, in cui iniziavano a non riconoscersi più in ciò che facevano: tour stancanti, concerti in cui le urla delle fan in delirio sovrastavano la loro musica, critiche e polemiche, e al contempo nuove esperienze (in particolare la cultura indiana per George e l’uso di LSD per John). Strawberry arriva come risposta a tutto questo e, come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, i Beatles si scrollarono di dosso i personaggi in cui iniziavano a stare stretti per rivelarsi come persone.
Non a caso, Strawberry Fields, prima di essere registrata come singolo, stava per essere inserita nell’album Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band, nella cui copertina possiamo vedere il contrasto tra i “nuovi” John, Ringo, Paul e George, centrali, con baffi, tagli di capelli diversi e vestiti dai colori sgargianti, e le loro immagini precedenti, laterali, in giacca e cravatta, tutti uguali e simili a tristi burattini.
Come dicevo, Strawberry Fields è la canzone che fa da apripista a questo cambiamento, e non a caso il suo inizio è tenue, sommesso, come un’atmosfera magica che inizia a formarsi attorno a noi, e le prime parole cantate dalla voce di John sono:
“Let me take you down,
‘cause I’m going to Strawberry Fields.
Nothing is real.
And nothing to get hung about,
Strawberry Fields forever”
(traduzione: Lascia che ti accompagni giù, perché sto andando a Strawberry Fields (“Campi di fragole”). Niente è reale. E niente di cui preoccuparsi. Strawberry Fields per sempre)
È John che ci tende la mano, e ci invita a seguirlo in questo nuovo cammino all’interno delle nostre menti, dove tutto è confuso, niente è definito. È come un mondo da esplorare: tutto attorno sentiamo suoni nuovi, strumenti particolari, tecniche diverse rispetto a quelle a cui la band ci ha abituati.
Il video cattura alla perfezione l’indefinitezza suscitata della canzone: non sono passati nemmeno due anni da quello in bianco e nero di We Can Work it Out, ma i Fab Four emanano proprio un’energia diversa. I loro movimenti rallentati e mandati al contrario, gli zoom sui loro volti, il passaggio repentino da giorno a notte, i colori versati sul pianoforte che poi cade a terra, la visione a raggi X: i Beatles vogliono rompere gli schemi, e anche visivamente tutto è sperimentale, mi trasmette la stessa sensazione di inquietudine, fascinazione e rilassatezza che ritrovo nel brano.
La canzone dura più di 4 minuti, superando la lunghezza di qualsiasi brano i Beatles avessero composto in precedenza, e anche questo mi sembra un dato significativo di rottura col passato: se fino ad allora i prodotti erano “perfetti” nella loro semplicità e brevità, dettata da un improvviso impulso giovanile, in Strawberry avverto un bisogno comunicativo che protrae la durata della canzone finché John si sente sicuro di aver tirato fuori ogni cosa. Questo, almeno, è ciò che percepisco in quell’inaspettata ripresa della melodia (a 3:35), come a voler spiazzare e avere l’ultima parola.
Infatti, se la musicalità è centrale nella canzone, le parole sono anch’esse nuove, e indicano proprio quel dissidio interiore del momento in cui la nuova identità comincia ad affiorare su quella precedente:
“Living is easy with eyes closed
Misunderstanding all you see.
It’s getting hard to be someone
but it all works out.
It doesn’t matter much to me”
(traduzione: Vivere è facile con gli occhi chiusi, fraintendendo tutto ciò che vedi. Sta diventando difficile essere qualcuno, ma si risolve tutto. Non me ne importa molto)
E poi c’è un continuo mettersi in discussione, una continua ritrattazione delle parole appena dette, un tentativo di attenuarle, come se John non ne fosse sicuro e cercasse subito di tornare indietro:
“No one I think is in my tree
I mean, it must be high or low
That is, you can’t, you know, tune in
but it’s all right
That is, I think it’s not too bad”
(traduzione: Nessuno, penso, è nel mio albero. Voglio dire, deve essere alto o basso. Cioè, non puoi, sai, sintonizzarti, ma va tutto bene. Cioè, penso non sia così male)
“Always, no sometimes, think it’s me
But you know I know when it’s a dream
I think I know I mean a yes
but it’s all wrong
That is I think I disagree”
(traduzione: Sempre, no, a volte, penso di essere io. Ma tu sai che io so quando è un sogno. Penso di sapere che voglio dire un “sì”, ma è tutto sbagliato. Cioè, penso di non essere d’accordo)
Un testo stranamente criptico, composto da frasi spezzate e incerte che contrastano con il tono deciso e sicuro del ritornello. E, ancora una volta, sembra che mi stia parlando e che stia riflettendo la mia personale visione del cambiamento come processo sofferto, pieno di ripensamenti e mille ansie. Le innovazioni mi piacciono, ma sono il cambiamento e il lasciar andare il passato a spaventarmi.
Vivo nello stesso modo anche il mutamento nei Beatles: sono talmente affezionata ai primi album che vederli così “cambiati” fa affiorare in me una punta di tristezza, consapevole anche del fatto che le diverse influenze che iniziano a emergere qui saranno le stesse che poi li porteranno a prendere strade diverse, a porre quella parola “fine” da cui io fuggo. Ma, d’altra parte, sentire quel “Let me take you down ‘cause I’m going to Strawberry Fields” riesce a farmi sorridere di nuovo, prendere la mano di John e correre con loro nel campo di fragole, emozionata di fronte a un loro futuro in cui sono sì diversi, ma pur sempre parte di me.
Inoltre, per rassicurarmi, i miei Fab Four coniugano tutte le innovazioni presenti in Strawberry Fields Forever con un’altra innovazione che è in realtà uno sguardo rivolto al passato: lo Strawberry Fields di cui si parla è un posto reale, un orfanotrofio vicino a casa di John dove lui andava spesso a giocare da bambino. A fronte di una prima metà di carriera in cui i riferimenti personali erano praticamente inesistenti, partendo da questa canzone i Beatles cominceranno a parlare di sé e della loro sfera privata, mostrandomi che a volte rinnovarsi non è rinnegare se stessi, ma riscoprirsi.
Dolores O'Riordan (The Cranberries) & @Scio16 - Black Widow
Voglio provare a contestualizzare questa scelta e un po' tutto il mio percorso facendo coming out: non sono il tipo di fan che osanna a prescindere il proprio idolo. Anzi, avendo fatto anche la parte del “tecnico” per un breve periodo, più approfondisco un artista, più tendo ad accorgermi dei suoi (fisiologici) limiti. Il punto è che i The Cranberries, per me, non hanno nulla che sia decisamente innovativo.
Cerco di spiegarmi meglio.
Quando mi sono appassionato a loro, erano già il passato, la nostalgia per un’epoca che, praticamente, non avevo vissuto. Non cercavo innovazione. Anzi, quello che cercavo era proprio una pausa dalla continua ricerca tutta adolescenziale di nuove emozioni, del mai visto/mai ascoltato prima. Loro sono stati il mio safe space, la casa a cui tornare quando avevo bisogno di affetto, di qualcuno che mi capisse a fondo senza giudicarmi; tutto questo senza dovermi per forza portare un messaggio o un suono che fosse nuovo o carico di divina arte.
Sono diventati noti con Linger e Dreams, due splendidi brani sentimentali e malinconici, ma che se vengono presi da soli non hanno guizzi particolari, specie nel panorama musicale di quegli anni. Poi venne Zombie, la loro fortuna più luminosa e, allo stesso tempo, la loro più grande rovina. Tutti conoscono i mirtilli di Limerick per questo brano. Troppe volte, per fare capire di chi parlassi, ho dovuto definire Dolores "quella di Zombie", che puntualmente era seguito da un "Ahhh potevi dirlo subito!".
A little reductive, tanto più che quel pezzo così ispirato, potente, diretto nella sua narrazione contro le violenze perpetrate in Irlanda del Nord, non era particolarmente innovativo, era solo molto originale in quella magnetica schitarrata distorta e nella ripetizione ossessiva di un testo potentissimo, ma davvero ridotto all’osso.
Da quel momento in poi, i The Cranberries hanno iniziato una parabola discendente, volta alla ricerca frenetica di una nuova Zombie (o, più genericamente, di un nuovo No Need To Argue) che si ritrova in moltissimi degli stilemi testuali e musicali che troviamo nei lavori successivi, come Hollywood, la stessa Promises, fino ad arrivare ad una Schizophrenic Playboy, contenuta nel loro ultimo album Roses, del 2012. Sì, passati 20 anni i Cran continuavano ancora con la stessa - meravigliosa - solfa, in un rincorrersi di deja-vu e autocitazionismi (che definirei a volte autoplagi) più o meno espliciti. Non un duetto, non un remix ufficiale. Nada de nada.
Alla luce di questo, è facile capire perché ho sinceramente odiato questo tema, che ha messo in evidenza una "pecca" dei The Cranberries che forse non avevo mai neanche razionalizzato così bene.
Poi, però, ci ho riflettuto e ho capito: i The Cranberries l'innovazione l'avevano già portata, solo che non risiedeva in sonorità azzardate né in poetiche nuove. Semplicemente, l'innovazione era Dolores.
Parliamo di un gruppo rock irlandese con una leader donna, che canta con una voce dalla grana inconfondibile e ricca di manierismi che sono diventati iconici, come l'accento peculiare, i sospiri, il repentino passaggio da voce di petto a voce di testa. La stessa vocalità riesce a passare con agilità dall’essere angelica e cullante in brani come Linger, allo scuoterci le viscere con la potenza di una Zombie.
Sì tratta di una voce e di una personalità che hanno reso i The Cranberries qualcosa di nuovo e unico nel panorama musicale mondiale.
È per questo che, per cercare di trasmettere il concetto di "innovazione", alla fine ho scelto un brano del suo percorso solista, così da evidenziare al meglio quella caratteristica che ha reso i Cranberries speciali per le mie orecchie, e tradurla quanto più possibile in una canzone che possa dare l'idea di innovazione, rispetto al repertorio passato della band.
Il brano si chiama Black Widow.
Al contrario dei fan, che si crogiolavano in quell'eterno ritorno dell'uguale, la frustrazione di essere relegata a icona degli anni ‘90 che canta “Eh eh oah oah oah” spinse Dolores a compiere il suo tentativo d’innovazione: lasciò il gruppo e iniziò a camminare da sola. Nonostante sia stata sempre lei a scrivere e comporre i brani dei Cran (insieme a Noel), ora era finalmente libera di scrollarsi di dosso la polvere del passato. E’ in questo contesto che compone Black Widow, inserendola nel suo primo album solista Are you listening? del 2007, quello che ha rappresentato il mio primo vero passo alla scoperta dei The Cranberries.
Sin dal primo ascolto, il brano fece crollare improvvisamente attorno a me la dimensione ovattata e tutta concettuale che avevo dato ai Cranberries, trasportandomi in una dimensione quasi gotica, un'atmosfera scandita dai suoni aspri, decisi ed incalzanti di un pianoforte che (nota per i più nerd) mi ha sempre ricordato moltissimo l'atmosfera onirica e inquietante creata dal clavicembalo del castello di Artemisia di Final Fantasy VIII, il mio videogioco preferito.
Lo strumento, che costituisce da solo gran parte dell’accompagnamento del brano, non è mai stato usato dalla band in maniera così estensiva e limpida, senza effetti e distorsioni. La chitarra acustica, onnipresente nella precedente produzione artistica, non è neppure accennata.
Verso metà brano, entrano i chitarroni elettrici e il tutto assume per un attimo connotazioni ansiogene ed estremamente drammatiche, con sonorità che ricordano il metal. Addirittura, ad un certo punto fa incursione un mezzo growl, wtf.
Ciò che viene fuori è più di un semplice brano musicale, mi ha sempre fatto pensare ad un musical o ad una colonna sonora, capace di evocare in maniera vivida le emozioni giuste (stavolta l'angoscia rientra totalmente nei piani) ma anche le immagini descritte.
L’innovazione rispetto alla produzione classica dei Cran è anche nel testo: via i concettoni, la filosofia, l’amore, il tradimento, la rabbia o le buone intenzioni. I testi non usano più un linguaggio vago che si piega a mille interpretazioni. Le parole si fanno chiare e decise nella descrizione di quella condizione esistenziale.
La vedova nera è il cancro, che lei ha avuto modo di affrontare dall’esterno vivendo gli ultimi giorni di sua suocera. Il tutto si gioca sull’ambivalenza di una “she” (la persona malata) e the black widow, la vedova nera.
Nella prima strofa c’è la donna, nella profonda solitudine di una prova che può affrontare solo con se stessa, intenta a cercare un "posto" che le sia di sollievo.
Finding solace
Finding solace somewhere
Seeking comfort
Seeking comfort somewhere
Nella seconda è la vedova nera la protagonista, che aspetta in un angolo - interiore - il momento giusto per avvinghiarsi alla sua preda (definita però "il suo amante") e dare vita ad un infinito abbraccio mortale. La vedova nera piange, come se sapesse di essere spregevole, ma non possa fare a meno di eseguire ciò che il suo DNA comanda.
The black widow
Waiting for her lover
The black widow
Crying in her bedroom
Per rappresentare i concetti più forti, Dolores sceglie di non affidarsi più a grandi giri di parole.
And she dies, and she dies
Feeling lonely
She is lonely
“Quando ho scritto Black Widow era la prima volta che provavo a sperimentare con la musica dark. Ho sempre giocato con l’aggressività, la felicità, la tristezza, ma mai con l’oscurità”. Anche Dolores, in questa intervista al Telegraph del 2007, sottolineava quanto per lei fosse diverso questo nuovo approccio alla musica e quanto questo pezzo incarnasse la sua idea di sperimentazione.
Devo ammettere che, fin dal primo ascolto, questo pezzo mi ha aperto un mondo, fornendomi uno sguardo più acuto e distaccato sulle cose, una spinta verso una diversa processazione del dolore che non deve per forza avvenire nella via tradizionale del grido disperato di Zombie, ma che può trovare la propria forza anche rimanendo lucidi e attenti spettatori. Anzi, questo è forse l’unico modo di empatizzare totalmente senza lasciarsi trascinare da giudizi, riletture personali o dalla propria emotività. Solo che, mentre prima questa era solo un'idea affascinante, oggi che mi trovo a raccontarvi questo brano mi rendo conto che è diventato un po' parte di quello che sono.
Se per i brani giocati precedentemente ho dovuto aggrapparmi a ricordi di sensazioni, qui mi trovo a fare un'analisi di quello che sono oggi. Mi rivedo tantissimo in questo tipo di approccio più pragmatico e distaccato, molto più che in quello raccontato in Linger e co. Se lì ho dato voce al Francesco passato, questo brano ritrae il me di oggi e forse, ancora meglio, il me di domani. Mi rendo conto di sembrare spesso cinico, quasi insensibile, come chi guarda impassibile la vedova nera che divora il suo amante, anche se dentro mi sento estremamente sensibile, molto più empatico di prima. Semplicemente, cerco di guardare le esperienze di vita altrui con meno impeto, con meno sovrastrutture, mettendo da parte quanto più possibile il giudizio. Lo trovo un atteggiamento migliore, nonostante rischi di essere meno compreso e condiviso, tanto da avere la perenne sensazione di dover tornare ciò che ero prima per essere ancora apprezzato.
Probabilmente, anche per Dolores è bastato crescere e vivere la sofferenza sulla propria pelle per cambiare il proprio approccio prima alla vita e poi alla musica, per poi cercare disperatamente di tornare a qualcosa che non c’era più (i vecchi e rassicuranti The Cranberries) sconsolata dall’accoglienza tiepida del pubblico nei confronti di questo progetto.
Non so se questo processo si possa chiamare “innovazione”. Sicuramente è stato un rinnovamento e, alla luce delle riflessioni che Black Widow mi sta ispirando oggi, lo abbiamo vissuto entrambi.
Utente
7 agosto, 2013
Pubblico, giudici e tutor avranno tempo per votare fino alle 19:00 di martedì 09/02. Vi basterà inviare le vostre classifiche in privato, dal primo al settimo posto. In questo Gala il pubblico, col suo voto, regalerà una posizione al concorrente/artista più votato.
La classifica dei giudici salverà i primi 3.
L'ultimo concorrente salvo verrà dichiarato grazie al voto dei tutor.
Gli ultimi 3 concorrenti rimasti andranno al ballottaggio e solo uno di loro si salverà.
@Casadelvino @Alby @Edre @Emm @NotturnoManto @mrnace @Krishoes @Mavro @KassaD1 @sparso @xello @CrYs @kairos @Oblivion. @Alpha @Targaryen e chiunque si voglia aggiungere.
https://open.spotify.com/playlist/1lgRkvpPPp7keqdlhOaXoD?si=LN50HlDYS3Su4cJmQKuHgA&
Most Users Ever Online: 2564
Currently Online: matti, Alessandra92, Fred, zio cle, Gennz, Olimpico85, Totoro__, anto1994, Giulio23, Danieletw, Gabbo, thatdamngigi, TEBY, shoshie90, AjejeBrazorf
577 Guest(s)
Currently Browsing this Page:
2 Guest(s)
Top Posters:
Olimpico85: 46384
pesca: 33132
KassaD1: 26616
xello: 25444
pazzoreality: 24095
Newest Members:
egisto
Roberto
giuseppe
Sam smith
nicolas
Forum Stats:
Groups: 6
Forums: 207
Topics: 26865
Posts: 1390160
Member Stats:
Guest Posters: 7
Members: 22818
Moderators: 9
Admins: 3
Administrators: RealityHouse, Alex87, mariomatt
Moderators: sadida83, Fob92, BB, Latinista, Alby, amers, Edre, monechiapi, Capo Horn